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“Rapito”, il film di Marco Bellocchio presentato a Cannes

Nel 1858, il piccolo Edgardo Mortara, un bambino ebreo bolognese di sei anni, viene strappato dalla sua famiglia per essere condotto a Roma, da papa Pio IX: l’Inquisizione di Bologna ha scoperto che il fanciullo è stato segretamente battezzato quando aveva pochi mesi, quindi è un cristiano e può essere preso di forza e costretto a lasciare la famiglia per crescere secondo i precetti cattolici. Nel corso degli anni, la famiglia si batterà in tutti i modi per riavere il figlio, mentre il piccolo crescerà a Roma nella dottrina cattolica.

Rapito è il nuovo film di Marco Bellocchio, opera presentata in concorso al Festival di Cannes 2023. Dopo Esterno notte, Bellocchio continua con il tema del rapimento, questa volta con una storia oggi poco conosciuta che all’epoca fece grande scalpore (tanto da arrivare anche in America). Una vicenda collocata in un periodo difficile per il papato, quando l’Italia era prossima all’Unità: papa Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai-Ferretti, non era più da tempo il papa “riformatore” amato dai liberali all’inizio del suo lungo mandato pontificio (cominciato nel 1846 e concluso nel 1878). Dopo i moti del Quarantotto e la Repubblica Romana, il lato conservatore del pontefice divenne preponderante, perché la paura di perdere il potere (temporale e spirituale) era sempre più concreta: la realtà mutava, e per lo Stato della Chiesa era sempre più difficile mantenere l’autorità ed esercitare l’antica autorevolezza. In questo periodo si colloca la complessa e triste vicenda di Edgardo, nel tempo della dura lotta del Papato con le istituzioni laiche, combattuta a suon di scomuniche, di nuovi dogmi (come l’Immacolata Concezione, 1854), ed encicliche come “Quanta cura” (1864), nota per la presenza del Sillabo e le condanne nei confronti del liberalismo, del socialismo e del mondo moderno in ogni sua forma.

Marco Bellocchio, attraverso la regia serrata, la meticolosa ricostruzione dell’epoca e l’abile dosaggio di oscurità e luce, riesce a dare a questa fosca vicenda le giuste tinte. Edgardo cresce allontanandosi dall’ebraismo ed abbraccia pienamente il cristianesimo, fino a diventare un ferreo sostenitore di chi lo aveva allontanato dalla sua famiglia: il trauma derivato dalla lacerante e nevrotica separazione viene colmato dalla nuova dottrina. Scritto da Bellocchio e Susanna Nicchiarelli, Rapito ben caratterizza tutti i suoi personaggi principali: la rabbia ed i tentennamenti del padre di Edgardo, Salomone; il dolore pulsante e bestiale della madre, Marianna; Pio IX, forte e risoluto, infastidito ed intimorito dal mondo che cambia; il piccolo Edgardo, spaesato e destabilizzato, ma al tempo stesso sveglio e acuto, con uno sguardo da adulto nel viso di un bambino.

Bellocchio racconta senza sconti questo scandaloso episodio, dove emerge totalmente l’inflessibile fermezza del potere e tutta la prepotenza di una Chiesa in forte conflitto, sin dalla Rivoluzione francese, con l’autoproclamazione degli individui, i diritti umani e le libertà individuali. Storia ed immaginazione, sogni ed incubi compongono l’affresco di Rapito, un lungometraggio tagliente, chiaro nella sua cupezza. Un’opera decisa sulla brutalità del dogma in ogni sua forma (non soltanto cattolica), sulla capacità del potere di cambiare radicalmente l’anima ed il percorso di vita di una persona, in questo caso Edgardo, il quale si distaccò così tanto dalla sua famiglia da divenire sacerdote e rimanere fedele al cristianesimo fino alla fine dei suoi giorni nel 1940.

Silvio Gobbi

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