La serie Netflix del momento è La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit), tratta dal romanzo omonimo di Walter Tevis, creata da Scott Frank e Allan Scott. Protagonista è Beth Harmon: rimasta orfana da bambina, cresce in un orfanotrofio dove stringe amicizia con il silenzioso custode, il signor Shaibel. L’uomo è appassionato di scacchi e la ragazzina apprende da lui questo sport, dimostrando di essere incredibilmente portata. Successivamente, dopo essere stata adottata dai coniugi Wheatley, Beth partecipa e vince tornei su tornei, locali, nazionali ed internazionali. Beth compie la sua ascesa nel mondo degli scacchi, fino a battersi con i più grandi campioni mondiali, riversando le sue passioni, i suoi dolori, la sua vita, sulla scacchiera.
Questa è la storia a grande linee, e l’impianto può sembrare noto: l’ascesa di una persona che, dal nulla, riesce, grazie al suo talento ed alla sua perseveranza, ad affermarsi nel mondo. Ma ci sono molti aspetti che rendono il lavoro meritevole. I personaggi sono ben delineati, la regia è precisa e diretta, le scenografie, le ricostruzioni, anche i più semplici oggetti non sono mai anonimi. Dagli scacchi, alla tappezzeria, agli orologi, tutto è scelto con cura e minuziosamente posizionato nella scena: una ambientazione dai tanti dettagli, come tanti sono i lati che caratterizzano la protagonista Beth (una memorabile Anya Taylor-Joy). Una donna che riesce a farsi spazio nel maschile mondo degli scacchi e degli USA degli anni Sessanta, dove le famiglie dalle belle casette con giardino possono spesso nascondere storie di solitudine ed alcolismo visibili soltanto dalla porta sul retro. Anche Beth beve, e fa uso di qualche pillola di troppo, perché ha molto da mandar giù: l’abbandono, l’esperienza in orfanotrofio, la sua intelligenza (un vero, grande, peso) e la paura di non riuscire a farcela. Ma per fortuna che ci sono gli scacchi, la sua salvezza e condanna. Perché gli scacchi la appassionano? Perché quelle sessantaquattro caselle rappresentano un mondo, seppur nei limiti dei difficili calcoli, prevedibile: lì Beth può posizionare i pezzi a suo piacimento e prevedere gli esiti. Un mondo controllabile per lei, l’antitesi della sua vita: negli scacchi sa che ha una minima possibilità di controllo della situazione, quello che, al di fuori, non può mai avere. Puntata dopo puntata, in sette episodi, conosciamo sempre di più questa ragazza capace di farsi strada dividendosi tra velocità e lentezza, scatti e riflessioni, come in una partita a scacchi. Beth è una ragazza senza retorica, vuole soltanto essere sé stessa e giocare dando il massimo. Donna determinata, riservata, ma che cova nel suo intimo, nella cenere delle sue esperienze, una infinità di luci e di ombre: soffre per il suo passato, e questo conflitto interiore la porta a giocare eternamente una partita a scacchi con lei stessa; è, al contempo, il bianco ed il nero della sua scacchiera. Ma in questa difficile ricerca di serenità, in questo turbinio di decisioni e dubbi, di lucidità e confusione, impariamo da Beth che non bisogna farsi mettere sotto scacco dagli eventi imponderabili: ogni tanto possiamo tentennare, ma le partite (tanto quelle del gioco, quanto quelle che la vita ci obbliga ad affrontare) durano fino a che ci sono i pezzi sulla scacchiera.
Silvio Gobbi