Nel Giorno del Ricordo, solennità civile nazionale che si celebra ogni anno il 10 febbraio, la Città di San Severino si è fermata per rendere il doveroso omaggio alle tante vittime dei massacri delle foibe e alle sofferenze legate all’esodo istriano, fiumano, giuliano e dalmata.
La cerimonia, organizzata dal Comune, è stata aperta dalla deposizione di una corona di alloro, sulle note dell’Inno di Mameli cantato dai piccoli componenti del MitiCoro dell’associazione Virgilio Puccitelli, diretti dal maestro Riccardo Brandi, al monumento dei Caduti. Poi ci si è spostati al teatro Italia per i discorsi ufficiali che sono stati introdotti da quello del sindaco Rosa Piermattei.
“Come ha avuto modo di ricordare nel passato recente il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per troppo tempo la tragedia delle foibe e dell’esoldo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia – ha detto il primo cittadino settempedano –. Noi tutti dobbiamo invece ricordare per non dimenticare, dobbiamo conoscere per non perderci in oscure ricostruzioni e per non indurre in errore soprattutto le nuove generazioni. E’ per i giovani che dobbiamo rinnovare, seppure nel dolore, certi momenti. E’ a loro che dobbiamo indicare la rotta di una convivenza pacifica in cui la conoscenza sia elemento di confronto e non di divisione e scontro. Dobbiamo insegnare ai giovani il rispetto dei diritti di tutti, l’accoglienza, il rispetto delle minoranze, abituandoli a rileggere la nostra Costituzione, un libro dove è scritta la nostra vera storia. La tragedia delle foibe costa ancora oggi grande sofferenza. E’ un orrore che colpisce le nostre coscienze. Prezioso è stato il contributo delle associazioni degli esuli per riportare alla luce vicende storiche oscurate o dimenticate, e contribuire così a quella ricostruzione della memoria che resta condizione per affermare pienamente i valori di libertà, democrazia, pace che sono alla base della nostra convivenza civile”.
A prendere la parola, a nome dell’Unione degli Istriani, è stato Giovanni Piloni che, in un discorso segnato dall’emozione, ha ricordato: “Oggi, 10 febbraio, commemoriamo le migliaia di italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia che, dal 1943 in poi, vennero barbaramente assassinati dai partigiani comunisti slavi e italiani per il solo fatto di essere italiani. Commemoriamo altresì l’esodo di 350 mila nostri connazionali dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, terre storicamente ed indissolubilmente legate all’Italia e alla sua storia. Un legame che risale a oltre duemila anni fa, quando all’alba dell’Impero Romano, quella che i romani stessi chiamavano “Italia” includeva la Venezia Giulia e l’Istria, inquadrate in quella che veniva chiamata la Decima Regio “Venetia ed Histria”. Successivamente, anche il padre della nostra lingua, il sommo poeta Dante Alighieri, segnerà sul golfo del Quarnaro, l’estremo confine d’Italia nel nono canto della Divina Commedia. Nei secoli successivi, sotto la protezione della Repubblica di Venezia, l’Istria e la Dalmazia conosceranno l’apice della prosperità culturale, architettonica, economica, seguendo fino alla fine la parabola storica della città lagunare. C’è quindi un unico filo che lega la presenza delle popolazioni prima latine, poi venete e infine italiane, lungo la sponda dell’Adriatico orientale, dai tempi dell’antica Roma, passando per la Repubblica di Venezia fino al Regno d’Italia. Una presenza che verrà messa in discussione a partire dall’800 con le prime persecuzioni da parte dell’impero austro-ungarico e delle popolazioni slave che, soprattutto dal 1866 in poi, metteranno in atto un preciso disegno di slavizzazione della Venezia Giulia e della Dalmazia e che conoscerà l’ultima fase con le stragi delle foibe iniziate nel 1943 ed il successivo drammatico esodo. Migliaia di italiani verranno così barbaramente torturati e uccisi nelle foibe, fucilati, annegati con le pietre al collo, deportati nei campi di concentramento jugoslavi da cui pochissimi faranno ritorno. In seguito alla firma del Trattato di Pace di Parigi, il 10 febbraio 1947, 350mila italiani sceglieranno di abbandonare per sempre la propria terra, le proprie case, i propri beni e fuggire in Italia, per poter restare liberi e italiani. Intere città si svuoteranno, alcuni moriranno tentando di oltrepassare il confine o di fuggire via mare. Gli esuli verranno accolti malamente, spesso picchiati, fatti oggetto di insulti e lanci di pietre al grido di “fascisti andatevene”. La propaganda comunista dell’epoca, infatti, li presentava come criminali fascisti in fuga dal paradiso socialista di Tito. Gli esuli verranno così rinchiusi in 109 Centri di raccolta profughi sparsi in tutta la penisola, dove resteranno per anni, nella miseria e in mezzo a privazioni, sofferenze e, soprattutto, all’emarginazione sociale. Essere profugo diventerà un marchio, una vergogna. Con gli esuli non bisognerà interagire, non si dovrà parlare, non di dovranno avere rapporti. Nei campi profughi alcuni moriranno per le privazioni e per il freddo, alcuni impazziranno, altri si suicideranno. I più sfortunati resteranno nei campi addirittura fino ai primi anni Settanta. In conclusione oggi commemoriamo una pagina della storia d’Italia volutamente occultata per 60 anni e da molti, ancora oggi, negata e vilipesa. Per questo, al fine di rendere giustizia alla memoria dei tanti italiani orrendamente assassinati e agli esuli, ultimi testimoni dell’italianità adriatica orientale, vi invito a difenderne la dignità e il ricordo, la drammatica storia, le enormi sofferenze subite. Parlatene, leggete, studiate, approfondite, raccontate ai vostri figli questa storia, andate a visitare quelle che erano le nostre città e le nostre case, tramandate il ricordo”.
In teatro i discorsi ufficiali sono stati intervallati da brani candati dalle piccole voci bianche del MitiCoro dell’associazione Virgilio Puccitelli.
Alla cerimonia erano presenti anche il vice sindaco e assessore alla Cultura della Città di San Severino Marche, Vanna Bianconi, gli assessori Michela Pezzanesi e Jacopo Orlandani, i consiglieri comunali Alberto Capradossi e Tiziana Gazzellini, il comandante della locazione stazione dei Carabinieri, luogotenente Massimiliano Lucarelli, il comandante della Polizia locale, sostituto commissario Adriano Bizzarri, il vice comandante, sostituto commissario Fabiana Forconi, i presidente di numerose associazioni locali e le delegazioni dell’Istituto comprensivo “Tacchi Venturi”, dell’Istituto Professionale “Ercole Rosa”, dell’Istituto Tecnico Tecnologico “Eustachio Divini”.