Jerzy Skolimowski, ad ottantaquattro anni, dà prova di un ulteriore slancio della sua inventiva cinematografica: prende un asinello dalla storia triste e ci costruisce EO, una favola moderna capace di viaggiare tra la realtà e la fantasia, tra la gioia e la crudeltà della vita. Eo, asino di un circo polacco, è costretto ad abbandonare la struttura circense a causa di un pignoramento: da lì, inizia il suo peregrinare per il mondo, passando di luogo in luogo, affrontando inaspettate avventure ed incontrando differenti personaggi.
EO è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2022 ed ha vinto il “Premio della giuria” ex aequo con Le otto montagne, di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Skolimowski omaggia Au hasard Balthazar, di Robert Bresson (1966), scrivendo, insieme ad Ewa Piaskowska, una sceneggiatura sintetica e ritmata, dove la concretezza della vita dell’asino si fonde con un mondo surreale fatto da immagini di schietta videoarte. L’occhio del regista alterna momenti di stasi a sequenze di pura frenesia, e la musica (onnipresente e fortemente emotiva, curata da Paweł Mykietyn) ed il montaggio contribuiscono ad infondere nello spettatore i sentimenti provati dal povero Eo, animale spaesato in un mondo delirante governato dagli umani cinici: Skolimowski fa parlare un asino, dà vita ai suoi sentimenti e ci fa intuire i suoi pensieri, senza l’utilizzo delle parole.
Eo, a dispetto delle aspettative, amava il circo dove stava, Kasandra era la sua addestratrice e tra di loro c’era un sincero rapporto fondato sul rispetto, sull’affetto. Strappato dalla sua casa e dalla sua amata padrona, Eo è come un Ulisse smarrito per l’Europa continentale, ma è ancora più solo del mito greco, incapace di comunicare e totalmente in balia degli eventi e dei soggetti che conosce lungo il cammino. I colori sgargianti si alternano alle tonalità fredde in maniera concitata ed il regista, inquadrando e mettendo a fuoco il muso dell’asino, i suoi occhi, utilizzando delle volte anche il grandangolo per sottolineare la distanza tra Eo ed il resto del mondo, ci racconta molto di questa povera creatura: attraverso l’innegabile forza delle immagini e delle inquadrature studiate da Skolimowski si sprigiona l’intero nocciolo di questa vicenda di abbandono e ricerca. EO è un viaggio nel cuore della Polonia, dell’Europa e del mondo, perché è una storia così generale da riguardare ogni angolo del globo. EO è il simbolo dell’amore e dell’incomprensione, di tutte quelle vittime animali (e non solo) che la cecità umana, senza riflettere, miete giorno dopo giorno, il tutto narrato attraverso una accurata ricerca linguistica che lascia il segno.
Silvio Gobbi