Come richiesto dalle nuove normative, il servizio della nettezza urbana è passato dal Comune al Cosmari. Un servizio che alla fine degli anni ’80 era arrivato a contare una quindicina di dipendenti, tra autisti e operatori. A quell’epoca si lavorava col carretto e il centro della città era diviso in zone: ogni netturbino aveva la sua area di competenza. A guidare quella “squadra” ben collaudata c’era l’indimenticato Remo Cerquoni, persona capace e sempre attenta alle esigenze dei cittadini. La gestione dei rifiuti, poi, ha pian piano trasformato il settore: è stata introdotta la raccolta differenziata e, successivamente, è arrivato il “porta a porta” con i suoi sacchetti colorati. Adesso il servizio pubblico diventa ancor più “spersonalizzato” e, al contempo, richiede maggior responsabilità e senso civico da parte di noi cittadini.
Certo, si perde il contatto quotidiano che i lavoratori tessevano sul territorio, facendo sentire vicina l’Amministrazione comunale. Soprattutto nelle aree di periferia e in campagna. Ma i nuovi scenari portano a questo, e quindi occorre sensibilizzare l’opinione pubblica per renderla consapevole dei cambiamenti in atto.
Di seguito pubblichiamo un articolo del geometra Luigi Ranaldi che ripercorre un po’ la storia del nostro rapporto con i rifiuti.
Chiunque abbia almeno 60 anni certamente ancora ricorda che quand’era bambino, ogni mattina, la sveglia veniva data dal suono di una trombetta o dal prolungato suono del campanello di casa, subito seguito da una vociata che annunciava a squarciagola: “Spazzatura!”. Chi non lo aveva ancora fatto, si affrettava a mettere la pattumiera fuori dalla porta e nel frattempo quel brav’uomo, umile e instancabile lavoratore, con passo veloce, svuotava nel suo grande e sudicio sacco di iuta quei pochi avanzi di cibo del giorno prima e qualche cartaccia. Raramente in quel secchio finiva qualcos’altro. Plastica e lattine non c’erano ancora e le bottiglie di vetro appartenute a qualche birra o a qualche gassosa venivano gelosamente messe da parte perché sarebbero state utili per la conserva di pomodoro che tutti facevano in estate. Nessuno, inoltre, buttava giornali perché la loro carta era preziosa per accendere il fuoco delle stufe a legna presenti in ogni casa.
Poi il progresso e, con esso, la contingenza. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio del ’70 raddoppiarono gli stipendi, tutti i negozi si riempirono di merci fino ad allora sconosciute, ma che all’improvviso, per tutti, divenne indispensabile acquistare. In pochi anni ogni casa si riempì di elettrodomestici; comparvero piatti, posate e bicchieri usa e getta.
All’inizio piatti e bicchieri erano di carta, poi si vide che con la plastica venivano meglio. Le piccole botteghe sparse per la città cominciarono ad apparire inadeguate alle esigenze del momento e spuntarono i primi supermercati, dove era possibile acquistare molto più di quello che si riusciva a desiderare. E fu allora che apparve l’acqua, limpida, cristallina e prelevata dalle “sorgenti d’alta quota” (così diceva la pubblicità). Veniva presentata in grandi bottiglie di plastica e tutti iniziammo a comprarla. Cominciammo a buttare molta più roba di quel che potevano contenere le vecchie pattumiere e un giorno l’uomo della spazzatura non venne più. Ci diedero dei sacchetti di plastica nera e ci dissero che, dopo averli riempiti con i nostri rifiuti, tutte le sere avremmo dovuto deporli agli angoli delle strade. Per qualche tempo questo nuovo meccanismo funzionò bene.
Ogni tanto, però, mentre andavo a scuola, mi capitava di imbattermi in qualche cumulo di sacchetti che non era stato ancora ritirato.
Qualcuno pensò che ciò non era bello da vedere e comparvero dei contenitori di plastica che avevano forma e dimensioni degli attuali bidoni condominiali; ci dissero di mettere i nostri sacchetti neri là dentro. Nel giro di poco tempo anche questi contenitori furono insufficienti e fu allora che arrivarono dei cassonetti molto più capienti.
Nel frattempo il progresso continuava, anche se un bel giorno tolsero la contingenza e gli stipendi non aumentarono più. L’immondizia invece aumentava sempre… Tanto che divenne un problema raccoglierla e smaltirla.
E siamo arrivati ai nostri giorni.
Oggi lo smaltimento dei rifiuti è diventato un problema davvero serio che impegna molto gli amministratori e qualsiasi soluzione appare difficile e dispendiosa. Ci viene ripetuto continuamente che i rifiuti sarebbero una grande risorsa se solo imparassimo a recuperare quelle parti che possono essere riutilizzate e per favorire questo processo è stata inventata la raccolta differenziata che ogni cittadino è obbligato ad effettuare. E certamente abbiamo commesso qualche errore, nei decenni passati, se adesso tutti ci dicono che dobbiamo cambiare le nostre abitudini e che dobbiamo comprare meno plastica. Peccato solo che qualsiasi cosa compriamo la troviamo quasi sempre all’interno di confezioni fatte di plastica e che, oltretutto, siamo costretti a pagare nel prezzo di ciò che in essa è contenuto. Ci è stato detto che la raccolta differenziata riesce meglio se il conferimento dei rifiuti viene effettuato porta a porta e così siamo tornati al punto di partenza! Solo che, a differenza di prima, non c’è più quell’uomo che alle sei o sette del mattino suonava alla nostra abitazione urlando: “Spazzatura!”.
Al suo posto ci hanno riempito di mastelli e bidoni variopinti che cominciano a far pesare la loro ingombrante presenza. Sono di plastica anch’essi. Sembra di vivere in un incubo da cui non riusciamo a uscire. C’è chi parla della necessità di avviare processi di decrescita che ci riconducano a forme di consumo più rispettose dell’ambiente in cui viviamo e probabilmente la strada giusta è proprio questa, ma ogni giorno può esserci un dilemma pronto a impensierirci non poco, dato che non vorremmo sbagliare. L’ultimo? Dove va buttata la lettiera del gatto? Nell’organico o nell’indifferenziata? Questo è il problema!