Nel suo monumentale studio dal titolo “Le pietre delle città d’Italia”, il professor Francesco Rodolico studiò e descrisse alcune città della Penisola in base al principale materiale lapideo da costruzione che vi era stato impiegato. Nell’introduzione del volume questo è l’incipit: “già da tempo si fa strada il concetto della costruzione, quale prodotto del suolo dove sorge: che un geologo giunga in qualche paese a lui sconosciuto, le bende agli occhi, e lo vedrete rendersi conto della geologia locale, gettato che abbia lo sguardo e i materiali usati negli edifici”. Nel volume, in realtà, le valutazioni sono molto più articolate e investono anche altri fattori oltre a quello geologico: economici, demografici, culturali, antropologici ed altri.
Tra le città campione viene inclusa Camerino a cui si associa, ovviamente, la pietra arenaria, materiale con il quale sono stati realizzati i maggiori edifici e le loro preziose membrature architettoniche. Se lo studio avesse interessato anche la vicina Sanseverino – dove, peraltro, è stata utilizzata una più ampia varietà di materiali lapidei e in gran quantità anche il laterizio, vista l’amplissima disponibilità di materiale argilloso – è fuor di dubbio che la sua pietra caratteristica sarebbe il Gesso Balatino o Gessite, localmente conosciuta come “Pietra di gesso”.
Questa si cavava nel territorio comunale fino a pochi decenni fa ed era il più abbondante ed economico materiale da costruzione reperibile nei dintorni del centro urbano medievale. Risulta di facile lavorazione, ma di contro ha un’elevata igroscopicità, che ne fa uno speciale veicolo di umidità negli edifici. Inoltre, la grande solubilità della componente gessosa la rende fortemente vulnerabile alle acque meteoriche: queste ne disciolgono la parte legante lasciando lo scheletro calcareo esposto al dilavamento. Infine, la propria natura chimica ne inficia la compatibilità con malte caratterizzate da spiccata componente silicea (in particolare i moderni cementi), che possono innescare reazioni indesiderate tali da causare persino dissesti nel corpo murario. Insomma la facilità di reperimento e di lavorazione sono abbondantemente controbilanciate da una non buona performance nelle murature, soprattutto se usate senza protezione di intonaco o a contatto con il terreno.
La pietra, prò, è tra le più belle – se si fa, naturalmente, eccezione per i più nobili marmi – per la lavorazione di elementi architettonici che non siano direttamente esposti agli agenti atmosferici. Sapienti lapicidi, alcuni dei quali hanno anche dimostrato spiccate capacità artistiche e compositive, l’hanno impiegata per realizzare ogni tipo di elementi architettonici, sfruttando a pieno le sue mille sfumature di colore, che vanno dal nocciola al grigio, passando per il marrone e per il viola.
La lucidatura fatta con olio di grafite rendeva poi magnifiche le superfici di altari, fonti battesimali, stipiti di porte e portali, colonne con capitelli e basi, plinti, stemmi araldici, lapidi commemorative con ricche cornici, per non dire delle sontuose balaustre nelle chiese o nelle scale monumentali. Se ne fece anche una massiccia produzione seriale di più banali soglie di scale o lastre pavimentali, rese antiscivolo grazie al tipico trattamento superficiale con scalpelli a pettine.
Sanseverino non è l’unica città maceratese dove questo materiale è stato ampiamente utilizzato: lo si è impiegato abbondantemente anche a Matelica, a Belforte e a Caldarola, anche qui in virtù della facile reperibilità in ambito locale. Non bisogna sottacere che il Gesso Balatino, frantumato e cotto ad opportune temperature, ha fornito per secoli il legante noto semplicemente come “gesso” o “scagliola”. Nel Borgo Conce di Sanseverino, alcune “gessare” hanno costituito una fiorente attività industriale almeno fino ai primi anni del secolo scorso. Solo pochi anni fa una delle ultime ciminiere è stata abbattuta per la solita operazione speculativa, nell’indifferenza di tutti.
È mia intenzione, con questo primo articolo, inaugurare una serie di approfondimenti sulla lavorazione di questo materiale, dalle non univoche qualità, come abbiamo visto, ma sicuramente interessante per la storia della città settempedana e delle altre città in cui è stata impiegata. Se ne potranno investigare, spero con il supporto di esperti dei vari settori, aspetti di tipo geologico, chimico, fisico, tecnologico, artistico, economico, antropologico, per aggiungere il Gesso Balatino maceratese alla lunga lista del professor Rodolico. Nella vicina Emilia Romagna questo materiale è stato adoperato principalmente a Bologna e ne esiste un filone molto cospicuo nelle colline imolesi, da tempo divenuto il fulcro di un parco ambientale; chissà che questa virtuosa esperienza non possa essere felicemente riprodotta anche nelle nostre colline?
Luca Maria Cristini