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“Holy Spider” di Ali Abbasi, thriller presentato a Cannes

In Iran, nella città di Mashhad, luogo centrale per l’Islam sciita perché lì è sepolto l’imam Alī al-Riḍā, un killer seriale uccide le prostitute: il suo nome è Saeed Hanaei, padre di famiglia, muratore, ex soldato, ed è intento a liberare la città da queste donne “immorali”. La giornalista Rahimi, di base a Teheran, si reca nella città per indagare su questi omicidi e scoprire l’assassino, ma l’indagine si rivelerà dura, perché si scontrerà con i pregiudizi della polizia e della gente del luogo: la violenza di Saeed avrà molti sostenitori, diffusi in ogni meandro della città.

Holy Spider è il nuovo film di Ali Abbasi: presentato in concorso al Festival di Cannes 2022, l’attrice protagonista Zahra Amir Ebrahim ha vinto il “Prix d’interprétation féminine”. Abbasi realizza un thriller basato su un reale evento di cronaca nera che ha sconvolto Mashhad tra il 2000 ed il 2001: tramite una regia ritmata e dinamica, dove gioca con le messe a fuoco, i primi piani, la camera a mano ed il commento musicale inquietante, il regista realizza un’opera drammatica dalla tensione efficace, brutale, senza fare sconti né alla crudezza né alla crudeltà della realtà.

Una realtà dove gli omicidi non sono soltanto il frutto di un folle, ma che riflettono, come uno specchio, i preconcetti, la violenza e la misoginia presenti negli ambienti più conservatori. Una realtà così complessa e infestata da sacche di oscurantismo tali da rendere Rahimi invisa perché è una donna emancipata che sa stare da sola, e Saeed, invece, un sacro jihadista capace di ripulire l’Iran dal peccato. Lo squilibrio di Saeed, dove si mescolano pulsioni sessuali e morale religiosa, è lucido, egli è convinto della sua missione, fino alla cattura ed alla condanna a morte. Definito il killer “Ragno”, perché, come un aracnide, attira ed intrappola nella propria tela le sue vittime, per poi abbandonarle ai lati della strada avvolte nello chador nero, egli è il frutto della pazzia individuale fusa con i meandri più reazionari del mondo sciita e della società iraniana.

Così Ali Abbasi, internazionalmente noto per il film Border (2018), con Holy Spider dà il meglio di sé, raccontando un evento criminale senza appiattirsi alla fredda cronaca, arricchendolo con una regia di qualità, una scrittura precisa ed ottimi interpreti. Un film dove la cronaca nera narra i peggiori retaggi duri a morire, un lungometraggio che cattura grazie all’azzeccata costruzione: un’opera che lascia un duraturo senso di inquietudine, perché capiamo che Saeed è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più grande, cioè una feroce violenza profonda e diffusa in tutto il mondo che lo circonda, come un’immensa tela di ragno che raggiunge ogni angolo possibile.

Silvio Gobbi

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