Il simulacro che di più e meglio testimonia la devozione dei settempedani per il proprio Patrono è di certo il busto reliquiario in argento, realizzato nel 1659 dall’orafo Santi Lotti a Roma, che sarà esposto in questi giorni di festa alla venerazione dei settempedani.
Proprio a questo manufatto è riferito l’epiteto dialettale “San Sivirì d’argento”, contenuto in blasoni popolari di ogni tipo. È familiare a tutti i settempedani, perché viene portato in solenne processione da quasi quattro secoli per le vie della città nella ricorrenza patronale il giorno 8 giugno.
Il busto attualmente è l’unico simulacro scultoreo del Patrono tra tante opere bidimensionali, pittoriche o a stampa; ad esso, almeno in tempi recenti, mai nessuno ha dedicato uno studio approfondito. Una ricerca che ho compiuto tre anni fa mi ha portato a fare un’importante scoperta, o meglio, a ri-scoprire qualcosa di cui si era evidentemente persa la memoria.
Si tratta della riscoperta di quello che fu l’originale basamento della scultura, da tempo dimenticato e, a mio avviso, meritevole invece di tutt’altra considerazione.
Sappiamo dai documenti d’archivio che il busto reliquiario – per il quale fu fatta una grande colletta cittadina e che, è bene sottolinearlo, è di proprietà della municipalità – per mancanza di soldi rimase incompiuto; scrive il conte Severino Servanzi Collio che l’antica nuvolata di base, “che era ben disegnata, e meglio eseguita” si “dovette intagliare in legno, non essendovi mezzi per continuare il lavoro in argento”. Solo due secoli dopo, nel 1823, grazie a un legato testamentario di Pietro Paolo Tardoli che coprì la gran parte della spesa, si poté completare la realizzazione del grande reliquiario con un basamento d’argento, ritenuto ai tempi più consono alla dignità dell’opera.
Il più povero stilobate ligneo finì relegato per quasi due secoli nella sagrestia della cattedrale e infine dimenticato. Negli ultimi anni era stato impiegato per gli usi più disparati: da sostegno per faretti a portavaso.
Ad osservarlo bene, non si può non rilevare che il basamento originale del busto di recente individuato è lavoro scultoreo di notevolissima qualità, composto da teste di cherubino dorate che fluttuano su una massa di nubi con argentatura superficiale. In effetti la nuvolaglia ottocentesca appare rigida e mal si fonde con la dinamica composizione tipicamente barocca della figura del santo, meglio valorizzata dal basamento ligneo, che doveva conferire, a mio avviso, anche maggior slancio verticale alla figura. È di forma sostanzialmente ellittica e presenta due maniglie in ferro alle estremità dell’asse maggiore.
Essendo molto rovinato dal tempo, attaccato da tarli e con molte rotture, è attualmente nei laboratori dell’Istituto di Restauro delle Marche a Montecassiano dove è oggetto di opere conservative che ce lo restituiranno presto in migliori condizioni. Speriamo che poi venga conservato con maggiore attenzione cura in un luogo dove se ne possa anche osservare l’eccellente qualità.
Luca Maria Cristini