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Home | Cultura | Recensione: “Rifkin’s Festival”, l’ultimo film di Woody Allen
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Rifkin's Festival
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Recensione: “Rifkin’s Festival”, l’ultimo film di Woody Allen

Pubblicato da Mauro Grespini in Cultura 498 Visite

Mort Rifkin è uno scrittore/critico cinematografico, ex docente di storia del cinema. Accompagna la moglie Sue al Festival internazionale del cinema di San Sebastián (Spagna): la donna è l’agente pubblicitario del giovane regista emergente Philippe, in concorso al festival. Durante il soggiorno, la signora si avvicina sempre di più al ragazzo, e Mort comincia a capire che il suo matrimonio è al capolinea. Ma l’uomo riesce a cogliere un piccolo sprazzo di vita quando incontra la dottoressa Jo Rojas, con la quale ha, sin da subito, una particolare affinità: un feeling che coltiva in questi giorni di cinema, tra première e proiezioni, passeggiate e sogni cinefili.

Rifkin’s Festival è l’ultimo film di Woody Allen, uscito pochi mesi fa nelle nostre sale e ora disponibile su Prime Video. Il regista newyorkese concentra in questa pellicola tutta la sua personalità ed il suo grande amore per il cinema. Nulla di nuovo sotto questo punto di vista: Allen ha sempre ampiamente dimostrato la sua passione per quest’arte, in particolare per le pellicole europee (ricordiamo, per esempio, che Stardust Memories, del 1980, è uno dei suoi più grandi omaggi a Fellini e Bergman). Mort è l’alter ego del regista, un uomo anziano in un mondo ormai per lui totalmente incomprensibile: egli arranca, si allontana dalla moglie e da tutti, ed i suoi sogni cominciano a parlargli. Sogni fatti di cinema, quello vero, quello che lui adora. Quei lungometraggi non prosaici, quelle opere profonde che si pongono le sue stesse domande: perché soffriamo? Come mai la vita è imponderabile? Perché esistiamo?

E così, nove grandi sogni accompagnano Mort nel suo soggiorno in Spagna: nove visioni oniriche ricche di citazioni cinefile, capaci di trattare, con ironia e serietà, la sua crisi amorosa ed esistenziale. Riaffiorano i registi da Mort, quindi da Woody Allen in persona, sacralmente osannati: Orson Welles (Quarto potere), Federico Fellini (8½), Claude Lelouch (Un uomo, una donna), François Truffaut (Jules e Jim), Jean-Luc Godard (Fino all’ultimo respiro), Ingmar Bergman (Persona, Il posto delle fragole e Il settimo sigillo) e Luis Buñuel (L’angelo sterminatore).

Con queste nove pellicole, rigorosamente in bianco e nero, citate e riadattate ai personaggi del lungometraggio, Allen racconta e sviluppa la vicenda di Mort: un uomo ormai in decadenza (Quarto potere), confuso per via degli errori della sua vita ed incapace di concludere il suo romanzo (8½) che incontra per caso una donna della quale si infatua (Un uomo, una donna). Nel mentre, lui si trova a gestire un rapporto a tre, con Sue e Philippe (Jules e Jim), e la crisi con sua moglie procede così velocemente che vorrebbe nascondersi sotto ad un lenzuolo e non pensarci più (Fino all’ultimo respiro). Mort è diviso tra Jo e Sue, due donne profonde e splendide sotto ogni aspetto (Persona), ed è perseguitato dai traumi del passato, come Doris, la donna che lui amava ma che lo piantò per il fratello (Il posto delle fragole). Il pover’uomo non sa come uscire da questa situazione (come i protagonisti ingabbiati de L’angelo sterminatore), ma, alla fine, capisce che deve solo accettare la vita come viene ed aspettare la morte con serenità, prima di giocare la sua ultima partita a scacchi (Il settimo sigillo).

Rifkin’s Festival è un concentrato delle passioni di Woody Allen, del suo amore per la Settima arte e della sua capacità di trattare, con leggerezza e scrupolosità, anche i temi più drammatici senza mai cedere all’incubo. Con il suo sagace humor, Allen ci ricorda quanto il cinema sia, in ogni senso, vitale per lui. Un lungometraggio realizzato per gli amanti del cinema: chi non conosce i film citati, può soltanto apprezzare una minima parte dell’opera, senza cogliere pienamente quella commistione tra vita e arte voluta da Allen, la voglia di sottolineare quanto il cinema influenzi, determini, e spieghi la vita. Rifkin’s Festival sembra quasi un testamento del regista statunitense, una firma finale di Allen per certificare e ribadire, una volta per tutte, i suoi maestri ed i suoi idoli intramontabili. Speriamo di no, confidiamo in altre future opere così sincere. Intanto, per durare, seguiamo i consigli che la Morte dà a Rifkin: non fumare, niente grassi saturi, attività motoria costante e non farsi fregare dallo stress.

Silvio Gobbi

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recensione cinematografica 2021-08-22
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