Home | Economia | Ristorante Salsì in viale Bigioli, la sfida dello chef Luca Ticà
Euro Net San Severino Marche
L'ingresso del "Ristorante Salsì"
L'ingresso del "Ristorante Salsì"

Ristorante Salsì in viale Bigioli, la sfida dello chef Luca Ticà

Come tutti sappiamo, la pandemia di Covid-19 ha colpito ogni settore lavorativo e uno dei più martoriati è quello della ristorazione. Le attività sono state limitate, dagli orari, dagli spazi e dalle chiusure. In parecchi hanno definitivamente abbassato la saracinesca, ma qualcun altro, ora, con le nuove misure introdotte dal governo, può tentare la riapertura: continuare con l’asporto e garantire la consumazione in loco all’aperto, con distanze e sicurezze.

Ma ci sono anche delle nuove attività che hanno deciso di aprire e di intraprendere questa strada in un periodo così difficile: questo è il caso del Ristorante Salsì (nell’edificio liberty di viale Bigioli 28, l’ultima sede del ristorante “Da Piero”).

Aperto da Pasqua, con il solo servizio d’asporto, da venerdì 30 aprile si potrà anche mangiare nello spazio all’aperto del locale. Il giovane chef e titolare Luca Ticà, affiancato dalla maître di sala Alessandra Fornari, dalla sous chef Sofia Mosconi e dal giovane staff, ha dedicato tutto sé stesso nel progetto, in questa sfida, con convinzione e sincera voglia di fare. Abbiamo dialogato con lui per farci raccontare la sua storia.

Chef, come avete gestito l’apertura del locale?

«A causa del Covid-19, abbiamo dovuto rimandare varie volte l’apertura del ristorante. Avremmo dovuto aprire molto prima, ma, dall’autunno in poi, è stato praticamente impossibile. Abbiamo aperto da Pasqua, con il solo asporto: ora che siamo in “zona gialla”, possiamo finalmente far entrare la gente nel locale, nella terrazza all’aperto. Mi sento di dover ringraziare Giuseppe Massi e i figli, proprietari del locale, per avermi aiutato per le questioni d’affitto. Sono imprenditori onesti e hanno ben compreso la situazione. Non hanno fatto pressioni durante questo difficile periodo: la collaborazione tra di noi nasce con un’ottima partenza».

Ristorante Salsì: come mai ha deciso di aprire questa attività? Come nasce il nome?

«Stavo per iniziare a lavorare come consulente per i ristoranti, ma, quando ho saputo della disponibilità di questo locale, mi è venuta l’idea e mi sono detto: “Provo a realizzare ciò che voglio”, dare vita ad un posto capace di unire tradizione e innovazione, di offrire al cliente piatti ricercati e capace di dare spazio e libertà di espressione a chi ci lavora. In più, la struttura, il locale in questione mi ha sempre affascinato, da molti anni. “Salsì” deriva dal mio soprannome, “Salsido” (detto anche “Sido”), e ho deciso di giocare su questo fatto: un nome con cui tutti mi conoscono e, per chi non mi conosce, capace di evocare la parola “salse”, le salse che nella mia cucina non mancano mai. L’accento sulla “i” è per dare un tocco di classe!».

Che cosa caratterizza il menù di Salsì? Come ragiona i suoi piatti?

«Il piatto che arriva al cliente è la punta dell’iceberg di tutto il lavoro che c’è dietro. Io posso ragionare anche per un mese su un menù: cerco i prodotti e ci lavoro sopra, cercando di dare corpo all’idea che voglio realizzare. Cambio spesso il menù, è un “menù dinamico”: punto alla freschezza, al continuo ricambio degli ingredienti, alle nuove combinazioni. La materia è tutta lavorata da noi: per esempio, maciniamo noi la carne e faccio io il pane (sono mastro panificatore). Così facendo, la qualità del cibo è migliore, abbattiamo i costi e rafforziamo anche la manualità nel lavoro: inoltre, una delle nostre regole più importanti è non sprecare mai il cibo! Ora è tutto in corso d’opera, puntiamo a creare qualche “piatto storico”, da tenere sempre in menù perché capace di riscuotere successo, ma non vogliamo fermarci ad avere sempre gli stessi piatti in carta: siamo in continuo movimento. Abbiamo cinque scelte per ogni portata principale (diviso in offerta di carne, pesce e vegetariana): partiamo dalle basi e le arricchiamo con la nostra esperienza e le nostre idee. Vogliamo mutare ciò che si conosce, unire, come detto, tradizione e innovazione. Vogliamo proporre qualcosa che tutti conoscono, per esempio una crema pasticcera, ma che, all’assaggio, rivela un aspetto inaspettato, un sapore nuovo e piacevole. Attraverso i menù degustazione, puntiamo a far conoscere ai nostri clienti nuovi piatti, come la triglia “black and white”, per rompere gli schemi e magari farli affezionare a qualche ingrediente in particolare. Questa voglia di unire la cucina diciamo “classica” a delle nuove prospettive è anche un omaggio a mia nonna, Bruna, che per prima mi ha insegnato a cucinare».

Ci dica qualcosa della sua storia nel mondo della ristorazione.

«Lavoro da sedici anni come cuoco. Una professione tosta, capace di dare tante soddisfazioni ma che comporta molti sacrifici e rospi da ingoiare. Ho lavorato in cucine molto dure, che mi hanno messo alla prova, tra turni massacranti, rimproveri ed urla: addirittura, qualcuno è arrivato a dirmi che questo mestiere non faceva per me. Ma non ho badato a questi episodi e, soprattutto, non ho ereditato questo modo aggressivo di fare, sono contrario ad alzare la voce. Mi sono sempre detto: “Quando avrò una cucina mia, non urlerò ai miei colleghi”, e questo, chiunque abbia lavorato con me, può confermarlo. L’urlo fa chiudere a riccio chi lo riceve, ed il rimproverato non impara nulla. Faccio vedere ai miei collaboratori come le cose vadano fatte, quello che voglio ottenere come piatto, come obiettivo, ma li lascio molto “liberi” nella realizzazione: devono arrivare al punto scoprendo il loro metodo, le loro abilità e punti deboli. Se proprio commettono dei grossi errori uso, al massimo, un po’ di sarcasmo per rimetterli in carreggiata, senza mai essere aggressivo. Perché, anche io, ogni cosa che so fare, so farla perché prima l’ho sbagliata così tante volte da arrivare ad imparare».

Che ruolo hanno i vini nel vostro ristorante?

«Sono importantissimi, è fondamentale saper avvinare il vino giusto a seconda del cibo che si offre. La nostra cantina punta molto ai vini locali, regionali, senza negarsi qualche salto fuori dai confini: essendo una cucina territoriale rielaborata, anche nei vini deve riflettersi tradizione e non. Idem per i superalcolici: anche loro italiani. Ma puntiamo sempre a crescere, partendo dalla regione verso nuove ricerche sotto ogni aspetto. Vedremo con il tempo, in futuro. Per ora, andiamo avanti rispettando le norme e confidiamo di poter riaprire sempre di più, allargandoci anche agli eventi: alla fine tutte le crisi terminano, finirà anche questa emergenza sanitaria».

Silvio Gobbi

Ulteriori informazioni riguardanti il Ristorante Salsì sono consultabili al sito web www.ristorantesalsi.com e sui social Facebook e Instagram.

Centro Medico Blu Gallery