di Alberto Pellegrino
Il 28 giugno è deceduto a Roma il compositore e poeta Valentino Valentini Puccitelli particolarmente legato alla città di San Severino, in quanto discendente dai Valentini e dai Puccitelli, antiche e nobili famiglie che hanno dato i natali a Virgilio Puccitelli (1599-1654), autore di drammi per musica tra i più rappresentativi del Seicento italiano, allo storico dell’Ottocento Domenico Valentini che ha lasciato importanti studi sulla nostra città. Valentino era inoltre il figlio dell’illustre tenore Antonio Valentini Puccitelli (1901-1964) che ha calcato le scena nazionali e internazionali tra il 1931 e il 1939 come interprete delle opere di Puccini e di due opere di Mascagni (Cavalleria rusticana e Nerone).
Valentino ha fatto approfonditi studi musicali e ha continuato la tradizione artistica di famiglia come compositore di musica classica. Per tutti ricordiamo lo Stabat Mater, composto nel 2006 per coro orchestra d’archi, organo e percussioni su un testo poetico attribuito a Jacopone da Todi. È stato autore di composizioni legate alla tradizione della canzone popolare romana (Roma testimone, Er Teverone) e alla grande tradizione napoletana come ‘A fenestella, presentata con successo al Festival della Canzone napoletana del 2002 e interpretata dal tenore F. Gramatica.
Valentini Puccitelli è stato anche l’autore di Sanseverinno, un inno composto in onore della città di San Severino su un testo in versi di Cesare Eusebi. La composizione, piuttosto breve ma molto intensa, è stata eseguita per la prima volta dal Coro da camera delle Muse.
Valentino Valentini Puccitelli è stato anche un poeta appassionato e riflessivo, che in un primo momento ha cantato l’amore e la bellezza femminile; il fascino della natura, della pioggia, della luna e delle stelle cadenti; la sua grande passione per la musica (“Note di suoni incantati. / Note ispirate da muse / in magica armonia / del sublime d’insieme /nel susseguirsi di un coro /infinito, perfetto, di sovrana purezza / come gemme lucenti, splendenti / nell’umano grigiore della nostra vita”), quella passione che prendeva corpo e vita quando era seduto al suo pianoforte (“Tasti pigiati di suoni svagati / nel silenzio della quiete. / Crescono. Vibrano piano, / e insieme raccolti, fanno da guida / ad una armonia: e giù, sempre più giù, / un fremito sprofonda nel mistero dell’Io, / fino al turbarsi l’animo, e insieme l’intelletto…/ è il sommo delirio, tra l’universo di note, / di infiniti sogni della nostra infinita fantasia!”).
Con il nuovo secolo la sua poesia si è fatta più riflessiva e piena di pensieri in volo come gabbiani (“Perle alate i gabbiani, di riflessi lucenti, / le ali sbiancate dai caldi raggi solari, / fari notturni stagliati nei cieli della città, / cangianti d’argento livore d’astro lunare…/Tal’è l’umano pensiero, che vaga lontano / ritorna, gira, rigira, s’illumina, s’oscura, / si calma, s’avvita, scompare, compare contorto, / martella ossessivo la mente e infine si fissa / così come statua di sale rivolta alla luce / morente del dì, fa l’alato pennuto nell’ultimo / raggio di sole che il giorno infine gli ha dato”). I suoi versi si sono ammantati da un velo di malinconia;si sono animati di pensieri profondi, di annotazioni filosofiche sulla Ragione e la Fede, su le mille sfaccettature dell’umana esistenza, sul mistero insondabile dell’Aldilà: “Stelle lucenti, il predestinato atto finale / avvolgerà di buio la vostra coda sciamante, / mentre, cadenti, sarà di voi, poi, solo Energia. / Simile a questo, il nostro Mondo ci appare: / spenti gli astri, chiuse le pupille nella terra / che il corpo coprirà e solo la cenere plasmerà, / l’Anima nostra, come onda astratta, pura, vagherà / imponderabile, nell’imponderabilità del Creato infinito”.