Phineas Taylor Barnum (Hugh Jackman) è cresciuto con le pezze ai pantaloni. Figlio di un sarto venuto a mancare quando era ancora molto giovane, Barnum si arrangia fra piccoli furti e lavori saltuari. Più cresce, più si innamora di Charity (Michelle Williams), di facoltosa famiglia. L’amore è reciproco, ed i due mettono su famiglia. Dopo l’ennesimo lavoro perso, Barnum decide di vivere facendo sognare la gente. E cosa c’è di meglio di un circo pieno di fenomeni da baraccone? Dopo aver scovato vari freaks, Barnum comincia la sua ascesa, tra donne barbute canterine e ragazzi-lupo acrobati, tra spirito imprenditoriale americano (classico self-made man) e sincero affetto nei confronti dei suoi “fenomeni”. Dalle pezze ai pantaloni passa alle ville con gli scaloni. La sua notorietà cresce, la moglie lo appoggia in ogni follia (non a caso si chiama Charity, ovvero carità): assume il benestante Phillip Carlyle (Zac Efron) per aumentare il suo giro ed entrare così nella “bella società”. Cresce a dismisura, fino ad arrivare a conoscere la regina di Inghilterra e ad assumere la celebre cantante d’opera Jenny Lind (Rebecca Ferguson) per una tournée negli Stati Uniti. Ma da lì le cose si complicano: Barnum inizia a trascurare la famiglia, i propri freaks, ed i suoi veri amici. Affronterà una forte crisi familiare ed economica, ma tutto, alla fine, si risolverà per il meglio.
The Greatest Showman, diretto da Michael Gracey, ispirato alla vita del circense P. T. Barnum (1810-1891), è un musical dalla struttura classica: umili partenze, un sogno, duro lavoro, ascesa, ingordigia, declino, una nuova speranza, ed infine rinascita. La storia in sé non ha nulla di nuovo, la trama è già vista. Positive sono le coreografie e le performance canore di Hugh Jackman, Zac Efron e Michelle Williams. A livello tecnico, il film non ha nulla di negativo: ripresa, montaggio, luci e scenografia sono esenti da difetti. L’unica pecca del film è la vicenda troppo romanzata: una eccessiva voglia di portare la storia a dire «tutto è bene quel che finisce bene» (un rischio comune a molte pellicole, specialmente quelle di marca hollywoodiana). Al di là di questa affannosa ed eccessiva corsa ad un positivo finale, carico di buoni sentimenti, The Greatest Showman è un gradevole prodotto di intrattenimento, per l’effettiva realizzazione tecnica e per l’interessante spaccato ottocentesco americano rappresentato.
Silvio Gobbi