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La recensione: “Soldado”, il male necessario al bene

Kansas City, giorni nostri. Un attentato suicida sconvolge gli States: quattro dinamitardi si sono fatti esplodere all’interno di un affollato supermercato (parecchi morti e feriti). La pista è incerta, non si sa la provenienza degli attentatori: cittadini americani o immigrati clandestini, di origine mediorientale, entrati negli USA attraverso il confine messicano? Delle informazioni fanno propendere maggiormente per la seconda opzione ed il segretario di Stato americano dà il via, con lo spregiudicato e determinato agente federale Matt Graver (Josh Brolin), ad un’azione segreta in Messico, reo di favorire il passaggio dei terroristi. L’obiettivo è quello di far innescare una guerra tra cartelli della droga, in modo tale da gettare la nazione confinante nel caos, per bloccare (almeno temporaneamente) l’afflusso di clandestini ed indagare ulteriormente sull’origine degli attentatori. Per scatenare questa guerra, bisogna rapire la figlia del boss della droga Reyes (presunto coinvolto nel traffico di clandestini di origine yemenita): così facendo, egli crederà colpevoli del rapimento i cartelli rivali ed innesterà la faida desiderata dagli yankees. Per questa operazione, Graver assolda Alejandro Gillick (Benicio del Toro), un ex avvocato messicano, ora sicario. Successivamente, la missione si complicherà in maniera parossistica, facendo finire Graver e Gillick in un intreccio irrisolvibile, dove il confine tra legalità e delinquenza svanisce completamente.
Soldado è l’ultima opera, pienamente hollywoodiana, di Stefano Sollima. Pur essendo i protagonisti gli stessi di Sicario (Denis Villeneuve, 2015), questa pellicola appena uscita può essere vista senza conoscere la precedente: è un sequel “autonomo”, indipendente dalla conoscenza dell’antecedente. Un’opera che segna un ulteriore passo nell’evoluzione di Sollima. Il percorso del regista romano, cominciato con la clamorosa serie Romanzo criminale, proseguito con A.C.A.B., la serie Gomorra ed il film Suburra, è sempre stato focalizzato sul tema delle infiltrazioni tra delinquenza e politica in Italia. Con Soldado (sceneggiato da Taylor Sheridan) l’autore vuol dimostrarci come questi contatti siano presenti ovunque nel mondo: anche gli Stati Uniti, baluardo di democrazia, giustizia e libertà, infrangono leggi nazionali ed internazionali, si sporcano le mani, per motivi di potere o di bene comune. In questa storia dal ritmo incalzante, abilmente intrecciata, dove il bene ed il male non sono più distinguibili, cogliamo una netta differenza tra primo e secondo tempo. Nel primo, predominante è il tema politico e l’organizzazione dell’azione. Nella seconda parte, l’aspetto politico è più trascurato per passare ad uno spettacolare (ma non banale) action movie: trappole, sparatorie, missioni, tutto in pieno stile americano. Pur con questa dicotomia tra primo e secondo tempo, l’opera non perde mai il suo mordente: fino alla fine, i colpi di scena non mancano e lo spettatore rimane col fiato sospeso per sapere cosa accadrà. Un film duro, di intrattenimento e denuncia al contempo, capace di stimolare sia il pensiero che le viscere. Ancora una volta, il cinema ci mostra che lo Stato (qualsiasi Stato) può servirsi del male per ottenere il bene. Per l’ennesima volta, tornano in mente le raggelanti parole pronunciate dal Giulio Andreotti rappresentato ne Il divo (Paolo Sorrentino, 2008): «[…] bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa e lo so anch’io». E, a quanto pare, non lo sanno solo Dio ed il divo: il discorso non vale solo per l’Italia, ma per ogni Paese che intenda mantenere il potere ed assicurarsi il proprio ed esclusivo bene.

Silvio Gobbi

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