Carlos Johnson è una di quelle presenze sul palco capaci di farsi ricordare. È stato protagonista della data di chiusura del San Severino Blues Festival, 26^ edizione, ambientata in un Largo Servanzi più affollato che mai. Introdotto e accompagnato dall’amico italiano (ma stanziato ormai da anni a Chicago) Luca Giordano, eccellente chitarrista, e dalla sua band di talenti: Fabrizio Ginoble alle tastiere, Walter Cerasani al basso, Lorenzo Poliandri alla batteria. La Luca Giordano band apre il concerto in un armonioso intrecciarsi di virtuosismi, mai eccessivi, sempre ben inseriti in un contesto compatto dal ritmo trascinante. Poi Carlos Johnson raggiunge la band sul palco. Un personaggio prima ancora che un artista, una presenza carismatica e stravagante: si dice contento per essere tornato in Europa, loda l’Italia, si scusa per il jet lag, spesso scherza in un improbabile falsetto (molto diverso dalla voce profonda con cui canta), beve da fiaschette sospette commentando “è il mio tè!”. Il pubblico partecipa divertito. Ma queste sono solo le pause fra un brano e l’altro, quando Carlos Johnson e la band suonano cala un silenzio assoluto.
Johnson è un profeta del Chicago Blues, considerato il più grande chitarrista mancino vivente. Un artista tanto schivo nell’immagine pubblica (sul web è praticamente introvabile, la sua discografia è minima) quanto espansivo sul palco. La scaletta è fatta di pochi pezzi, allungati al massimo: le canzoni partono, il ritmo cresce, poi tutto si dilata in lunghissimi assoli rarefatti (probabilmente improvvisati) in cui l’artista pizzica le corde per minuti interi. Un pubblico preparato e attento ascolta e apprezza. Poi, dopo minuti interi di puro virtuosismo, la canzone riprende il ritmo e corre verso la chiusa aumentando di potenza. È l’andamento di buona parte del concerto; un concerto raffinato e coinvolgente, interrotto ogni tanto da qualche problema tecnico che lo stesso Johnson ha cercato di sistemare fra una canzone e l’altra. Sempre scusandosi col pubblico in modo decisamente divertente. La scaletta, una selezione colta con spazio per qualche grande classico; come “Summertime”, applauditissima fin dalle prime note, e una “Georgia on my mind” che si è presto trasformata in “Italia on my mind”. Fino al bis, con – totalmente a sorpresa – “I shot the sheriff”. Una scelta di brani eclettica fino alla fine, che ha fatto brillare Carlos Johnson ma non solo: fra lunghi assoli di tastiera e molti applausi per basso e batteria, ha valorizzato davvero allo stesso modo ogni componente della Luca Giordano band.
La serata è stata introdotta e conclusa da Mauro Binci, direttore artistico del festival, che ha annunciato di essere già al lavoro con il suo staff per l’edizione 2018. C’è stato anche spazio per una bella notizia: le donazioni versate al San Severino Blues, che andranno ad aiutare le persone colpite dal sisma, hanno raggiunto (e superato) l’obiettivo dei 2.000 euro che l’organizzazione si era preposta. Uno di quei casi in cui la musica fa bene, e non soltanto all’anima.
Alessandra Rossi