Dopo Drive-Away Dolls, Ethan Coen torna alla regia con Honey Don’t! (ancora senza il fratello Joel). Al fianco di Ethan, c’è sempre la moglie Tricia Cooke (alla sceneggiatura): questo nuovo film, si caratterizza sempre per le tematiche noir, pulp, poliziesche, rievocando lo stile dei film di “serie b” di un tempo (a detta degli autori, questo lavoro dovrebbe essere il secondo episodio di una trilogia di b-movies saffici). La protagonista, come nel precedente lungometraggio, è Margaret Qualley, stavolta nel ruolo di Honey O’Donahue, un’investigatrice privata che indaga su strane morti nella sua città, nelle quali sembra coinvolto un reverendo locale dedito a loschi traffici di droga.
La figura di Honey è un tributo, in chiave contemporanea, al cinema pulp degli anni Settanta, dall’atteggiamento all’abbigliamento: l’indagatore ora diventa indagatrice, è una donna acuta, sicura di sé, determinata e con un intuito invidiabile, ma non perfetto; sostanzialmente, una donna che non ha bisogno di nessuno per capire il mondo sporco in cui vive, sa cavarsela da sola. Tra dubbi e piste sbagliate, Honey, insieme alla poliziotta MG Falcone (Aubrey Plaza), cercherà di sbrogliare la situazione, secondo il classico “impianto Coen”, fatto di dialoghi assurdi e divertenti, scene di violenza e capovolgimenti totali della situazione, con momenti di regia degni di nota (ad esempio, quando Hector vede riflesso, nelle pupille della nonna morta, l’assassino che sta per colpirlo alle spalle).
Ci sono violenza e droga, comicità e dramma, sesso e fantasmi del passato. Ma non mancano dei difetti: c’è qualche buco nella trama (forse voluto in vista del prossimo film, dato anche il finale alquanto aperto) ed i personaggi non sono così approfonditi a livello psicologico (questo aspetto può non piacere, ma è calzante con il modello dei b-movies). Honey Don’t! è un film graffiante, ma non così originale (non “reinventa” il genere di serie B, come invece fa Tarantino), riuscendo comunque ad intrattenere e a divertire: sa come omaggiare quel genere cinematografico, riuscendo ad essere sporco e piacevole al tempo stesso. Infine, i tre protagonisti, Margaret Qualley, Aubrey Plaza e Chris Evans (nel ruolo satirico e assurdo del reverendo criminale) riescono a reggere bene l’intera opera e a farci dimenticare, grazie anche all’ottima regia, quelle mancanze presenti al suo interno.
Silvio Gobbi
Il Settempedano

