Il film premiato con il “Prix de la mise en scène” (premio “Miglior regia”) al Festival di Cannes 2023, Il gusto delle cose (La Passion de Dodin Bouffant), del regista vietnamita naturalizzato francese Trần Anh Hùng, è al cinema: un dramma tra i fornelli, dove l’amore per la cucina e l’amore sentimentale trovano la loro unione e massima espressione nella quotidiana preparazione di ottimi piatti. Protagonisti della vicenda sono Dodin Bouffant (Benoît Magimel) ed Eugénie (Juliette Binoche): lui è uno chef famoso, lei il suo braccio destro tra i fornelli. I due cucinano insieme da più di venti anni, nel corso del tempo hanno realizzato tantissime ricette e perfezionato molti piatti: pur lavorando insieme da tanto tempo, tra di essi non c’è nessuna competizione né acredine, si amano ma non sono sposati, si sentono liberi e uniti nel loro rapporto atipico ed unico nella Francia di fine Ottocento. Il tempo scorre ed i sentimenti tra i due si fanno più forti, ma il dramma è dietro l’angolo e la vita non può essere sempre perfetta come le pietanze preparate nella loro cucina.
Con Il gusto delle cose, Trần Anh Hùng realizza un film dinamico, tra mestoli, colini, consommé, salse, arrosti, cacciagione, verdura, frutta, vol-au-vent ed omelette norvegesi: in mezzo a una infinita quantità di cibi, il regista si muove velocemente attraverso una regia fluida e ritmata (e realizzata, stando a quanto dichiarato, con una sola macchina da presa); i movimenti di macchina così ben scanditi riescono a creare una giusta sinfonia tra le stupende pietanze e la forte passione dei due protagonisti. L’autentico, ma sempre indipendente, amore tra Dodin Bouffant ed Eugénie raggiunge il suo massimo tra i fornelli, la cucina è tutto: in quel luogo nasce e si concentra tutta la storia e la sintonia dei protagonisti raggiunge il suo apice, il cibo diventa una allegoria delle loro vite e del loro rapporto. La storia raccontata è tratta sia dal romanzo “La Vie et la Passion de Dodin-Bouffant, gourmet” (di Marcel Rouff, 1924) che dalla figura del gastronomo francese Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826), e si distingue più per la realizzazione tecnica che per lo sviluppo della sua trama. L’opera regge grazie alla regia e per come la macchina da presa segue i personaggi, ed anche per la minuziosa ricostruzione degli ambienti, per le scene ed i paesaggi che ricordano i quadri impressionisti, per l’utilizzo esclusivo di suoni e rumori ambientali, e per le genuine interpretazioni di Juliette Binoche e Benoît Magimel.
Silvio Gobbi