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Le vele scarlatte
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Recensione: Pietro Marcello torna al cinema con “Le vele scarlatte”

«Qual brezza ti sospinge/ o viaggiatrice errante?/ Ascolta:/ volare via con te come vorrei!», questi i versi de “La rondinella”, poesia della poetessa, insegnante, scrittrice e anarchica francese Louise Michel (partecipò alla Comune di Parigi). Versi di libertà e autonomia divorati dalla giovane Juliette, una ragazza cresciuta con il padre Raphaël, abile artigiano falegname, nel nord della Francia. Juliette non ha mai conosciuto la madre, morta alla sua nascita: lei ed il padre vivono in un paesino pieno di rancori e malelingue, negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale, ma la giovane coltiva uno spirito autonomo con tutte le qualità per poter volare via.

Pietro Marcello torna al cinema con Le vele scarlatte, film presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2022. Prende come soggetto l’omonimo romanzo dello scrittore russo rivoluzionario e libertario Aleksandr Grin per narrare una vicenda ambientata nel passato ma ancora fortemente attuale: tramite una regia scorrevole, il regista racconta una sincera storia, senza fronzoli né sentimentalismi, di emancipazione. Juliette, Raphaël e Adeline, la donna che cresce la ragazza come se fosse sua figlia, costituiscono un microcosmo di genuini emarginati, situati in un mondo al limite, al limite tra l’arcaica magia popolare, il borghetto provinciale e la grande città. Juliette, ragazza mai sopra le righe, brillante donna di passaggio tra un tempo e l’altro, tocca tutte queste realtà, in costante tensione tra le radici alle quali è sentimentalmente legata e una libertà intima che non può reprimere.

Come con Martin Eden (2019), Pietro Marcello crea una pellicola libertaria. Prima c’era un uomo in lotta coi limiti dei propri giorni, ora una donna: Juliette sa cosa vuole e decide per sé, in ogni momento della sua vita. Sebbene sia legata al passato, è già nel futuro, pronta a navigare nel mondo virando le proprie vele scarlatte lungo il viaggio della vita. In questo lungometraggio, come nei precedenti dell’autore, c’è anche la presenza di filmati documentari originali e l’intera struttura si basa su questo stile: scene ed inquadrature che ricordano le tipiche riprese d’archivio, il voluto tremolio della macchina da presa, certe riprese sgranate, i colori a tratti sgargianti e poi tenui, tutte queste scelte stilistiche legano il mondo del documentario alla finzione. La visione documentaria rinforza l’immaginazione, realtà e fantasia si saldano nella vicenda di Juliette, per la quale valgono sempre i versi della rondinella: «Per me vitale è la suprema legge,/ sol aria e libertà a te dan vita».

Silvio Gobbi

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