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Recensione: “Bones and All”, film di Luca Guadagnino

Maren (Taylor Russell) è una giovane che viaggia per gli USA fuggendo da tutto e da tutti per via della sua natura: è una cannibale. Nel suo peregrinare, la ragazza incontra vari personaggi come lei, cannibali ed emarginati, ma soltanto uno catturerà la sua attenzione, Lee (Timothée Chalamet), un altro giovane solitario in fuga dalla propria vita. I due viaggeranno insieme per gli Stati Uniti, affronteranno soggetti pericolosi ed alienati, impareranno ad accettare la propria natura e cercheranno di sopravvivere in un mondo molto diverso da loro.

Bones and All è il nuovo film di Luca Guadagnino, ed ha ottenuto due importanti riconoscimenti alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2022: “Leone d’argento alla regia” ed il “Premio Marcello Mastroianni” (premio rivolto ai migliori attori emergenti) a Taylor Russell.

Guadagnino dirige una poesia violenta, fatta di sangue e amore, di marginalità ed esclusione, di disperata fame di accettazione. Attraverso una regia dinamica, capace di alternare la stasi alla frenesia, la tensione alla distensione, il regista segue l’evoluzione dei ragazzi lungo il loro viaggio all’ombra del mondo dei normali: Bones and All è un concentrato di speranza e timore, di dolcezza e ferocia, di fame di carne e fame d’amore.

In questo film (tratto dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis e sceneggiato da David Kajganich), l’autore rappresenta il divario tra cannibali e non, e tra giovani e vecchi cannibali: i cannibali “anziani” sono nevrotici, ambigui, possessivi, desiderosi di controllare in ogni modo i loro simili più giovani, cercando di insegnare loro la “giusta” vita da cannibale. Maren e Lee devono ben vedersi da questi attempati predatori, ingordi di carne e di controllo, incapaci di ogni sincera forma d’amore. Guadagnino vede nei giovani una sorta di genuinità e nutre fiducia nei loro confronti: questi ragazzi possono essere deviati e diversi, sbagliare nel peggiore dei modi possibili, ma, al tempo stesso, sono la speranza per un domani migliore. Perché i giovani, seppur afflitti da questa mostruosa deviazione, non hanno ancora consumato del tutto la loro vita, non hanno spolpato le loro possibilità “fino all’osso”, come invece i vecchi hanno fatto, finendo per diventare dei puri e folli derelitti. Maren e Lee sanno che la loro fame non è convenzionale, è dannosa e difficilmente frenabile, ma vogliono provare a vivere normalmente: gli impulsi sono forti e gli adulti (quindi il passato con il carico di errori delle precedenti generazioni) mettono costantemente a dura prova la giovane coppia. In questo metaforico e concreto scontro tra diversi e non, tra vecchie e nuove generazioni, la vita e la morte si scambiano il posto di continuo, la vita tranquilla e la vita violenta lottano tra di loro, ma l’amore può fare la differenza anche nella peggiore delle situazioni, e questo Guadagnino lo sottolinea bene, specialmente con il finale che si presta a diverse riflessioni.

Silvio Gobbi