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Esterno notte (parte due)
Esterno notte (parte due)

Recensione: ‘Esterno notte’ (parte due) di Marco Bellocchio

Nella seconda parte di Esterno notte, Marco Bellocchio conclude la narrazione del martirio di Aldo Moro, concentrandosi sulla brigatista rossa Adriana Faranda (coinvolta nel rapimento del Presidente), su Eleonora “Nora” Moro, la moglie di Aldo, e sulla morte dello statista della DC. Questi tre episodi finali proseguono sulla scia dei precedenti, sempre caratterizzati da una regia serrata, ossessiva e claustrofobica, tra realtà ed onirismo, e dalle ottime interpretazioni degli attori.

Emerge, ancor più potentemente, la lotta intima e profonda dei protagonisti: il conflitto interno della brigatista Adriana, consapevole della sua scelta, ma altrettanto conscia, alla fine, di essere in mezzo ad un marasma di compagni esagitati ed inconcludenti, deleteri per la loro stessa causa; il dolore acuto di Nora, la quale scopre quello che già da tempo aveva intuito, ovvero la solitudine umana e politica che avrebbe avvolto il marito nel momento del bisogno; Moro e la sua morte, le sue ultime ore di prigionia, un uomo stanco, avvilito ed avvelenato dall’isolamento e dalla morte a cui è stato condannato.

Bellocchio termina il suo giro di psicoanalisi storica e sociale di uno dei momenti più laceranti della storia repubblicana italiana. Lo fa raccontando la storia ed immaginando degli eventi, aggiungendo il sogno (e l’incubo) alla verità: prende a pugni il pubblico, ci fa sentire un po’ tutti come Moro, atterriti, spettatori di una condanna a morte annunciata verso la quale non possiamo fare nulla, solo attendere l’esecuzione. Seduti in sala, inchiodati alla poltrona, assistiamo all’affannosa ricerca di salvezza che fallisce per la piccolezza dei personaggi che avrebbero potuto cambiare le sorti del rapito: miopia e piccineria politica ed istituzionale che sono costantemente accresciute da quel momento in poi.

Perché Moro voleva vivere, come ogni essere vivente, non solo per umano istinto di sopravvivenza, ma anche per la sopravvivenza di quei delicatissimi equilibri politici e sociali che lui intendeva, insieme a pochi altri, contribuire a realizzare. Ha scritto ai suoi colleghi ed amici, ricordando loro casi di trattativa, di scambi di prigionieri che ci sono stati nel mondo, ricordando a Cossiga che «Un atteggiamento di ostilità sarebbe un’astrattezza ed un errore». Ha tentato di smuovere la coscienza di chiunque, anche quella di Zaccagnini: «Ed eccomi qui, sul punto di morire, per averti detto di sì ed aver detto di sì alla D.C. Tu hai dunque una responsabilità personalissima. Il tuo sì o il tuo no sono decisivi. Ma sai pure che, se mi togli alla famiglia, l’hai voluto due volte. Questo peso non te lo scrollerai di dosso più. […] Non pensare ai pochi casi nei quali si è andati avanti diritti, ma ai molti risolti secondo le regole dell’umanità e perciò, pur nelle difficoltà della situazione, in modo costruttivo. Se la pietà prevale, il Paese non è finito».

La pietà nei confronti di Moro e del futuro del Paese non ha prevalso, le trattative non ci sono state e quegli assassini esaltati delle BR hanno crivellato il Presidente. La politica conciliatoria e di incontro di Moro con la sinistra è morta sul nascere, spazzata via dalla politica limitata ed intransigente: come nel sogno di Adriana, dove vede il cadavere di Moro trascinato via dalla corrente di un fiume. Non si è realizzato il sogno inverosimile di Cossiga, la fortunata sopravvivenza di Moro con il suo conseguente abbandono della politica, ma si è concretizzato il più cinico dei destini: la morte di un uomo e la fine di un’era politica mai cominciata.

Silvio Gobbi

Recensione della prima parte di Esterno notte

“Esterno notte” (parte uno), il film di Marco Bellocchio

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