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“Esterno notte” (parte uno), il film di Marco Bellocchio

A diciannove anni di distanza da Buongiorno, notte (2003), Marco Bellocchio torna ad affrontare cinematograficamente il caso Moro. “Affrontare” è il giusto termine, perché trattare di Aldo Moro, del suo lungo rapimento da parte delle Brigate Rosse, terminato dopo 55 giorni (9 maggio 1978) con la sua uccisione, è veramente una sfida, complessa ai massimi livelli: si rischia sempre di scadere nell’apologia di alcuni personaggi e nella condanna di altri, nella superficialità delle figure rappresentate e degli eventi narrati. Con Esterno notte, presentato in anteprima al Festival di Cannes 2022, Bellocchio decide di stravolgere la didascalica visione spesso propinata della vicenda Moro, addentrandosi in un film (una mini-serie di sei puntate studiate come un unico lungometraggio) dalla densa profondità, capace di mescolare storia e immaginazione in maniera martellante e senza banalizzazioni dei personaggi presenti, gettando su questi affannati protagonisti luci ed ombre azzeccate ed inaspettate.

Come noto, Moro venne rapito e ucciso: la parantesi (o parabola?) del “Compromesso storico” col Partito Comunista Italiano si è conclusa ancor prima di cominciare. Come sarebbe mutata la storia d’Italia se quel patto avesse avuto una realizzazione concreta, non possiamo saperlo, sappiamo soltanto che quell’occasione è andata perduta, e con essa tutti i possibili e conseguenti scenari futuri. Bellocchio, classe 1939, ha vissuto in prima persona quegli anni, quei giorni caratterizzati da violenti scontri fisici, sociali e politici. In questo ultimo film, rispetto a quello del 2003, il regista decide di dare maggiore risalto alle figure intorno a Moro: coloro che sono rimasti fisicamente fuori dalla prigione delle BR, ma mentalmente altrettanto catturati da quel rapimento. Questi soggetti, come hanno vissuto la prigionia del politico, del loro collega, avversario, amico, marito? Rispondendo a questa domanda, Esterno notte diventa un composito affresco di personaggi intorno allo statista della Democrazia Cristiana, soggetti che hanno dovuto sopportare il senso di colpa ed il peso della prigionia vissuta da Moro, colui che si è ritrovato, da solo, a scontare tutti gli errori della classe politica dell’epoca.

La notte non è più soltanto quella vissuta da Aldo Moro nella buia cella delle BR, ma essa cala anche sui suoi collaboratori e amici: le ossessioni di Cossiga (Fausto Russo Alesi), la tensione malcelata di Andreotti (Fabrizio Contri), il grande dolore di Paolo VI (Toni Servillo), sono alcuni esempi di come l’oscurità sia fuoriuscita dal covo delle BR e abbia avvinghiato le figure esterne. Grazie alla sua inconfondibile regia serrata ed esplosiva, Bellocchio rappresenta la claustrofobia, l’angoscia e la durezza di quelle giornate in tutta la loro pienezza. Durante la visione non c’è aria, non c’è respiro, ma un continuo affanno con nodi alla gola per l’irrisolvibile sorte di Aldo Moro, interpretato da Fabrizio Gifuni: estremamente somigliante al leader della DC, è così camaleontico da entrare nel personaggio sin nei minimi dettagli, nei movimenti, nei modi di essere e di parlare (un ruolo da lui già impersonato nel film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, 2012).

Marco Bellocchio realizza una psicoanalitica, nevrotica, greve raffigurazione di quel drammatico frammento di storia italiana: con questa sintesi tra storia e immaginazione (già sperimentata in Buongiorno, notte), Bellocchio ci sbatte in faccia le nevrosi di quegli uomini di potere, l’oscurità di quei kafkiani palazzi a noi inarrivabili ed inaccessibili: Esterno notte è il culmine del percorso cinematografico dell’autore, dove il simbolismo di Bellocchio si fonde radicalmente con la cronaca, dove il mondo onirico intacca quello reale, ricordandoci come entrambe le rappresentazioni (vera ed immaginaria) siano inscindibili in qualsiasi narrazione, in qualsiasi storia. Ora attendiamo giugno per vedere la conclusione di questa ambiziosa, aspra e solida opera cinematografica.

Silvio Gobbi

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