L’opera è tra le più note di Lorenzo Salimbeni, grande innovatore, col fratello Jacopo, della pittura dell’inizio del secolo XV. Con loro e con altri interpreti della pittura detta del “Gotico cortese” o “Gotico internazionale” l’arte trecentesca, figlia delle innovazioni di Giotto e dei suoi seguaci, fa un altro scatto in avanti verso la rappresentazione della realtà quotidiana, del sentimento umano, del dato di contesto naturale e urbano.
Un primo passo verso l’umanesimo si potrebbe azzardare a dire, in cui la fissità ieratica dell’arte sacra gotica – per certi aspetti ancora debitrice della tradizione fissità iconografica dell’arte sacra orientale – viene immediatamente archiviata e ciò avviene più o meno simultaneamente in luoghi distanti fisicamente, ma collegati dal quel primo internet della storia, che fu la circolazione lungo le vie commerciali dei libri d’ore miniati.
Ciò spiega il contestuale fiorire di questo modo di dipingere in molte parti dell’Europa, tra cui la nostra Sanseverino, che nel Trecento era centro manifatturiero di prim’ordine, collocato lungo la principale via di commercio che connetteva Roma con l’oriente tramite il porto di Ancona, quello di Venezia e i suoi dominii adriatici. L’altro suo asset fondamentale era la possibilità di avere forza motrice a disposizione nei margini della città, in quel “Borgo Conce”, quartiere protoindustriale extra moenia, solcato da numerosi canali a pochi passi dalla Porta Romana e ricco di operose botteghe e di decine di mulini.
Il Salimbeni raffigura così alcuni degli episodi salienti della vita di san Giovanni Evangelista, calati in un contesto urbano del loro tempo, con fantastici scorci di edifici modernissimi per quel tempo e bambini giocosi. Vi sono scene di vita quotidiana: dalla donna che innaffia le piante sul balcone di casa, a quella che allatta il bambino nella culla, dalla raffigurazione del banco del cambiavalute, alla baruffa fra i due monelli che si tirano i capelli. Cose davvero mai viste prima di allora raffigurate in un edificio sacro.
Probabilmente queste scene generarono allora lo stesso stupore (forse in qualche caso anche seria disapprovazione) che oggi si riserva all’arte moderna, figurativa e no, a chi non ne conosce e apprezza il contesto culturale.
Luca Maria Cristini