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Un'immagine del film
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La recensione: “Hotel Gagarin”, una commedia fresca

Nicola (Giuseppe Battiston), docente di storia appassionato di cinema, viene contattato da Franco Paradiso (Tommaso Ragno), un sedicente produttore della fittizia “Tindaro Film”, per realizzare, grazie a dei fondi europei, un film scritto dal professore stesso, ambientato in Armenia. Nicola partirà per il lontano paese con una troupe sgangherata e rimediata alla buona da Paradiso: Sergio (Luca Argentero), un fotografo fattone e indebitato; Elio (Claudio Amendola), un elettricista dalla vita mediocre; Anna (Silvia D’Amico), una prostituta improvvisata attrice e Valeria (Barbora Bobulova), una truffaldina organizzatrice di eventi d’origine russa. Il vero piano di Franco Paradiso non è quello di girare un film, ma di intascare i fondi europei ottenuti per finanziare tale pellicola e fuggire via, fregando tutti quanti (con la complicità iniziale di Valeria, la quale verrà poi gabbata, a sua volta, dal finto produttore). Questa “Armata Brancaleone” cinematografica si recherà in Armenia per i sopralluoghi del film, ma lo scoppio di una guerra tra nazioni confinanti li costringerà a rimanere bloccati nell’albergo dove alloggiano, l’Hotel Gagarin. Durante la loro permanenza, le riprese del film di Nicola non inizieranno mai, ma gli abitanti di un villaggio vicino verranno a conoscenza della presenza di una troupe “del grande cinema italiano” e decidono di recarsi lì per chieder loro di realizzare i propri sogni. Da questo momento in poi, i cinque protagonisti si metteranno all’opera per girare e rendere reali i desideri delle persone del luogo (dal sogno di un anziano di interpretare Jurij Gagarin nella sua partenza per lo spazio alla riproduzione di duelli tratti dai film western). L’opera scivola così dal genere della commedia alla fiaba. I sogni di questa umile gente prenderanno vita, ed i nostri protagonisti italiani, provenienti da una realtà che ormai non conosce più la gioia di vivere, cominceranno a sognare insieme alle persone che aiutano. In un’Armenia glaciale, completamente ricoperta di neve e gelo, caratterizzata sia da città moderne e anonime che da antichi paesi costruiti su pietra e carichi di storia, i nostri personaggi provenienti dall’Italietta meschina e truffaldina, recupereranno la bellezza ed il piacere di far felici gli altri realizzando i loro sogni: facendo del bene gratuitamente, faranno del bene a loro stessi, alle proprie personalità, in un’atmosfera che ricorda una lontana eco di Grand Budapest Hotel (Wes Anderson, 2014) con una leggera ombra di Underground (Emir Kusturica, 1995). Hotel Gagarin di Simone Spada (classe 1973) è un buon punto di partenza per questo regista esordiente, dopo un passato cinematografico caratterizzato dall’essere sempre stato un aiuto regista (ha collaborato in varie pellicole importanti come, ad esempio, Non essere cattivo, Claudio Caligari, 2015 e Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti, 2016). Con l’opera in questione (soggetto originale di Spada stesso) l’autore compie un importante passo in avanti per la propria carriera. Il regista realizza un lungometraggio dalla tecnica registica non particolarmente virtuosa, completamente ausiliaria alla sceneggiatura, ma cerca di dare un nuovo taglio alla commedia italiana: il viaggio verso la lontana Armenia è un percorso di rigenerazione non solo per i personaggi della storia, ma è anche la metafora del viaggio che lo stesso cinema italiano sta intraprendendo (o deve intraprendere). Un viaggio verso un nuovo linguaggio tale da portare all’apertura ad altre storie, ad altre atmosfere, ad altre culture, per condurre l’arte cinematografica alla sua rinascita, alla elaborazione di una nuova originalità. Hotel Gagarin è un buon prodotto e può essere collocato insieme ad altre pellicole italiane degli ultimi anni capaci di confermare la qualità del nostro cinema. Questa commedia, pur calcando qualche cliché nei personaggi e nella trama, nella costruzione d’insieme merita: è una commedia fresca e fiabesca, che ha al suo interno qualcosa di nuovo, un’embrionale carica nuova che vuole svilupparsi. È un buon inizio per Spada: non un capolavoro, ma dentro c’è qualcosa che può ancora crescere per produrre altre idee ancor più interessanti e originali. Buon lavoro a questo regista esordiente.

Silvio Gobbi

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