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Home | Teatri di Sanseverino | “Il medico di campagna”: l’importanza del dialogo
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I protagonisti del film
I protagonisti del film

“Il medico di campagna”: l’importanza del dialogo

Pubblicato da Mauro Grespini in Teatri di Sanseverino 941 Visite

Il medico di campagna, di Thomas Lilti (2016), è il film conclusivo della rassegna cinematografica organizzata dai “Teatri di Sanseverino”. Il protagonista dell’opera in questione è Jean-Pierre Werner (François Cluzet), un medico di una piccola cittadina francese. La sua vita è completamente assorbita dal proprio lavoro: passa le giornate curando i pazienti, alternando le visite ambulatoriali a quelle a domicilio nella campagna circostante. Jean-Pierre svolge il proprio lavoro dando importanza non solo alla fredda analisi fisica delle condizioni dei propri pazienti, ma anche (e soprattutto) all’ascolto dei malati, in modo da capire i loro sentimenti, al fine poterli curare nel migliore dei modi possibili. Ma Jean-Pierre, dopo aver scoperto di avere un tumore al cervello, viene affiancato nel lavoro dalla competente dottoressa Nathalie Delezia (Marianne Denicourt), formatasi in città, in ospedale, quindi totalmente estranea alla piccola realtà del medico di campagna. L’iniziale attrito tra i due, dovuto alle differenti metodiche di lavoro, scemerà nel corso della vicenda: Nathalie apprenderà da Jean-Pierre l’arte della sua medicina “personalizzata”, attenta al paziente e alle sue emozioni, integrandosi perfettamente nella piccola comunità. Inoltre, la dottoressa aiuterà il medico nel decorso della sua malattia e lui capirà l’importanza di dare fiducia alla nuova collega e alla sua fresca competenza.
Il film è una commedia che tende al dramma senza eccessi di sentimentalismi né di patetismi: i personaggi sono sobri ed equilibrati nei propri ruoli. I due protagonisti vivono una perenne condizione di bilico: oscillano tra il voler rimanere rigidi sulle proprie posizioni e il dover combattere con l’opinione dell’altro (come, infatti, spesso accade nella vita reale). L’incerto rapporto tra i due è ben sottolineato dall’utilizzo della camera a mano: le immagini un po’ traballanti (più o meno percettibili a seconda delle situazioni) dovute dall’utilizzo di tale apparecchiatura, hanno proprio la funzione di sottolineare tale instabilità, tale travaglio tra Jean-Pierre e la propria collega. Il loro rapporto rimarrà incerto e instabile fino a che il medico non confesserà la verità a Nathalie: una volta risolti i nodi in questione, la camera diventerà sempre più fissa e stabile, proprio come la situazione tra i due medici.
Quest’opera è incentrata sulla necessità del dialogo tra il mondo del “passato” e quello “nuovo”: nulla è eterno, nemmeno il medico Jean-Pierre, simbolo di un’intera comunità, è immune alla malattia (anche il suo tempo, prima o poi, finirà). La volontà del regista è quella di sottolineare l’importanza dello scambio generazionale tra il passato/presente ed il presente/futuro: il cortocircuito che rischia di esserci tra il “vecchio” ed il “nuovo” può essere un grande punto di stallo per l’intera comunità in generale. Per questo, tra i due medici si instaurerà un dialogo, un passaggio di testimone utile a poter dare un senso di continuità a quella comunità di periferia, lontana dalla città, che altrimenti rischierebbe di rimanere esclusa dai più basilari servizi di una società civile, come quello sanitario (nel film è anche evidente la critica al rischio di abbandono che corrono le piccole comunità ai margini delle grandi città, lontane dai maggiori servizi e, in troppi casi, condannate all’abbandono e alla fuga dei propri abitanti verso i grandi poli cittadini). Il dialogo che si instaura tra il medico di campagna e la nuova dottoressa, formata all’interno dell’ospedale, preparata alla professione, ma ancora con poca esperienza, è un simbolo di speranza per il futuro che verrà. Più in generale, il regista vuole mostrarci che la necessità di dialogo tra il “vecchio” ed il “nuovo”  riguarda tutti noi, non solo il mondo della medicina, ma la vita sotto ogni suo aspetto: chi è venuto prima di noi, può insegnarci ciò che ha appreso dalla vita, e noi dobbiamo apprendere il più possibile dal “passato”, mettendo a disposizione le nostre fresche e competenti energie, per dare sicurezza e senso di continuità alla comunità in cui viviamo.

Silvio Gobbi

 

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rassegna cinematografica 2017-12-17
+Mauro Grespini
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