Con una solenne e partecipata cerimonia, il “nostro” don Antonello è stato ordinato oggi Vescovo di Cremona.
In attesa di un servizio sulla giornata, vi proponiamo – di seguito – il discorso che mons. Antonio Napolioni ha pronunciato al termine della funzione religiosa nella cattedrale di Cremona. E’ lungo, ma merita davvero di essere letto.
Sono colmo di meraviglia, gioia, commozione per ciò che è accaduto, e per ciò che inizia. Tra la mia miseria umana e l’infinita misericordia del nostro Dio, si irradia intorno a noi una grande bellezza. Soprattutto, è evidente che tutto ciò riguarda me solo in parte, come parte di un tutto.
Prima ancora che entrassimo nel mistero celebrato, questa cattedrale lo diceva da sé, bella com’è, fuori e dentro. I cremonesi che l’hanno voluta dovevano essere “pazzi di gioia” per il Vangelo, con una santa smania di raccontarlo nei secoli, affrescando le pareti e scolpendo la pietra. Ispirati e guidati dai nostri Santi patroni.
E noi? Entrati in questo scrigno, gli abbiamo dato nuova vita, con questa celebrazione bellissima, non per il luccichìo dei paramenti, ma per quanto traspare dagli occhi di tutti voi, membra – come me – del corpo di Cristo, il Signore vivente. Appare Lui, che è qui, in questa assemblea divenuta oggi, nella sua varietà di volti e vocazioni, madre del mio episcopato, quasi riproponendo il mistero di Maria, “figlia del suo Figlio”. Contemplo la fede che si respira, in tutti voi, specie nei cremonesi che mi accolgono quasi “ad occhi chiusi”.
Lui, Gesù, è il protagonista assoluto, il motivo di tutto, Lui l’unica fonte di luce e vita per la Chiesa che, come la luna d’argento, riflette umilmente il volto del suo Sposo e Signore. In ciò, siamo debitori al beato Paolo VI, che aggiornò per il nostro tempo le vie della perenne riforma della Chiesa (cfr. Ecclesiam Suam). Siamo uniti a papa Francesco, che quotidianamente ci mostra come anche oggi il Vangelo si irradia e attira. E riprendo volentieri le parole del vescovo Dante, cui da oggi sono legato per il dono della successione apostolica che mi ha trasmesso con amore: una settimana fa invitava la sua e nostra Chiesa locale a continuare con coraggio “nel tentativo umile di rispondere alle sollecitazioni dello spirito” per poter crescere nel rinnovamento, perché “non c’è tradizione vitale senza cambiamento”.
Solo Maria conosce pienamente il segreto di quest’opera di trasformazione, e ce lo consegna con le parole: “Fate quello che vi dirà”. Stasera sento che le dice particolarmente a me, come le uniche parole a cui possa affidare questo passaggio della mia vita. Parole di obbedienza, spirituale prima che giuridica, l’obbedienza che dà pace e vera libertà. L’obbedienza alla realtà e alla voce di Dio in essa.
Sempre questo messaggio mi arrivava, anche quando non me ne accorgevo. Nella mia famiglia, attraverso papà e mamma che continuano dal cielo la loro mediazione educativa; tra gli amici della giovinezza e i compagni di liceo, riscoperti nel tempo come sincero banco di prova della crescita umana.
Me l’ha detto con forza nella lunga avventura scout: lì ho intravisto nuovamente il fascino di Gesù risorto, grazie alla testimonianza di laici maturi e coraggiosi come chiedeva il Concilio! E nel silenzio, nel servizio ai piccoli, sulle strade più diverse, come quelle che oggi hanno percorso tanti amici, da lontano, per essere qui.
Me l’ha detto nella Chiesa di Camerino e San Severino Marche, col suo presbiterio (quanti fratelli e padri sono già nella casa del Padre!), coi suoi Arcivescovi, da Bruno a Francesco Giovanni, testimoni e garanti della mia chiamata al sacerdozio e all’episcopato. Coi doni della stima di mons. Francesco Gioia, e della sofferenza offerta da mons. Angelo Fagiani. Una Chiesa in cui ho condiviso tante forme di impegno e di preghiera, specie grazie ai laici e alle sorelle contemplative che sento sempre vicine.
Quando, in momenti non facili, mi è stato detto: “vai ad aiutare in Seminario regionale”, la Chiesa mi ha fatto ascoltare e riconoscere la voce del Signore, dentro le delicatissime vicende umane e vocazionali di tanti giovani. Molti oggi sono qui, preti contenti, e mi commuove la loro festosa condivisione. Meno male, però, che non è stato chiesto a loro di presentarmi (come faceva il loro Rettore), altrimenti chissà cosa avrebbero detto!
La ricerca di cosa vuole il Signore da noi oggi è diventata anche studio e insegnamento, nei contesti fecondi delle Università Salesiana e Lateranense, nella ricerca e nella partecipazione appassionata al cammino delle Chiese nelle Marche e in Italia, in diversi campi, e con tanti maestri, alcuni dei quali sono presenti.
Soprattutto, Maria mi ha detto “fa’ quello che ti dirà” in questi bellissimi cinque anni da parroco a “don Orione”: sì, mi sono innamorato della grande attualità pastorale della parrocchia. E’ la realtà umile che meglio può aprire le porte della Chiesa Madre a tutti, come a quelle persone che in questi anni erano lontane dalla parrocchia, eppure hanno espresso il rammarico per una partenza, prematura rispetto al loro ritmo di riavvicinamento. Ma Lui sa provocare ancora, Lui ha veramente a cuore tutti, piccoli e grandi.
Quante storie di sofferto amore ci hanno unito, direi proprio “impastato” insieme nel pane eucaristico, di domenica in domenica! Porterò sempre nel cuore questa lezione, e cercherò di vedere in ogni parrocchia quella “famiglia di famiglie” che si è dilatata tra noi. Credo che questo sia anche il passo da compiere per proseguire nel rinnovamento dell’iniziazione cristiana così ben avviato nella mia nuova diocesi.
Più direttamente, “Fa’ quello che ti dirà” è l’appello forte che mi giunge attraverso papa Francesco ed il collegio dei Vescovi, che con il segno efficace dell’imposizione delle mani stasera mi hanno incorporato nella loro missione. Vi ringrazio tutti, in particolare gli eminenti Cardinali: la vostra presenza ci unisce con evidenza al Vescovo di Roma. Dal Papa raccolgo l’invito ad essere innanzitutto uomo di preghiera, per fare esperienza intima e costante di Gesù vivo, che parla a me per i fratelli, per essere eco sua, meno dissonante e indegna possibile (cfr. Omelia a Santa Marta, 22.1.2016).
Con le sue scelte, il Santo Padre concretizza quello che ha scritto: “abbandonare il comodo criterio pastorale del ‘si è sempre fatto così’” (EG 33), e chiede a me e a voi, fratelli e sorelle della Chiesa di Cremona, di scambiarci doni ed esperienze, di dilatare i nostri orizzonti culturali, di ritrovarci decisamente nell’entusiasmante cantiere del Regno di Dio.
Davanti agli insegnamenti e allo stile di papa Francesco, troppi parlano di quello che fa, e non so quanti facciano quello che dice. Non ha senso dirgli grazie per la nomina, se non gli dicessi anche: “Farò quello che mi dirà il Signore, attraverso di te”. Faremo insieme quello che ci dirà: siete d’accordo? Non per seguire un personaggio, ma per aderire a una Presenza, quella di Gesù, che parla nel tempio e sulle piazze, ma anche nella sua vita nascosta, nel fatto stesso di essere uno di noi, uno come noi, Dio-con-noi. Chi aspetta programmi pastorali, trovi qui, nell’incarnazione, il cuore e la sostanza di tutto. E, per il resto, abbiamo la Evangelii gaudium da capire e attuare davvero, in tanti ambiti della nostra vita, personale ed ecclesiale.
Da oggi appartengo alla Chiesa di Lombardia, impressionante per ricchezza di storia e santità, e mi impegno ad un dialogo franco e fraterno coi Vescovi, guidati dal nostro Metropolita, il Card. Angelo Scola, che spero di incontrare nei prossimi giorni. Entro in una nuova realtà sociale, e ringrazio le Autorità civili e militari per la loro presenza, per la loro opera, per come mi vorranno introdurre nelle risorse e nei problemi di questo territorio.
“Fate quello che vi dirà” è la consegna che ricevo insieme a tutti i sacerdoti e i diaconi della nostra Chiesa diocesana. Permettetemi un pensiero speciale a quelli che non hanno potuto essere qui per ragioni di età, salute, o particolari difficoltà, e a quelli che hanno lasciato il ministero. A voi preti dico: farò quello che il Signore mi dirà attraverso le vostre storie ed esperienze, nell’amicizia e nel discernimento che sapremo condividere. Dovremo fare a gara per cogliere i segni dei tempi, anche con un dibattito coraggioso sui nodi di un tempo così complesso e agitato, ma sempre affamato di Dio e di senso. Per fare quello che ci dirà la gente: non solo quanti vivono con noi la fecondità del Battesimo, ma anche i lontani e gli allontanati, gli smarriti e gli scartati, chi contesta, impreca o tace nell’indifferenza. Chi non ce la fa, chi è disperato, chi ci costringe alla non facile fantasia della solidarietà. In particolare, con l’aiuto dei consacrati e delle famiglie, cercheremo di decifrare i silenzi e i linguaggi dei giovani, perché crescano liberi ma non senza identità e senza vocazione. Racconteremo la misericordia di Dio anche nel dialogo, fatto di rispetto e coraggio, con uomini e donne di altre culture e religioni.
Il Signore, venuto non a giudicare il mondo, ma a salvarlo, oggi, vuole parlarci così: con la gioia pasquale, che circonda la verità crocifissa del Figlio, cui non è estraneo alcun dolore umano. Proprio il 30 gennaio di un anno fa, moriva uno splendido ragazzo, Gianluca Firetti, e stamane sono andato a Sospiro, a pregare sulla sua tomba e ad abbracciare i suoi genitori. Non si tratta solo di un gesto di tenerezza pastorale, quanto di una certezza di fede che mi si impone all’inizio del mio servizio di Vescovo a Cremona. Cristo mi precede, mi manda angeli come Gianluca, storia letta con ammirazione prima ancora di venire qui. Ho già sperimentato altre volte questo metodo di Dio: quando 5 anni fa iniziavo a fare il parroco, mi affidavo a Luca, Cristina e Alessio, ventenni morti sulla strada 5 anni prima. Non li ho mai conosciuti, ma i loro genitori sono oggi miei fratelli carissimi. E con loro, penso ad altre famiglie ferite, ma non sconfitte. Come sento il sostegno di tanti infermi, veri “motori della missione”, a cominciare da Franco, inchiodato alla SLA da 10 anni, ma spiritualmente vivissimo, che considero come un mio “vicario” silenzioso e fecondo.
Questa è la novità cristiana, che si ripropone: lo Spirito che mi ha reso Pastore di questa Chiesa, si manifesterà nelle relazioni quotidiane tra noi, perché ciò che ammala e congela il nostro cuore, sia vinto dalla carità fraterna e dalla gioia del Vangelo.
Vi ringrazio tutti, uno ad uno, perché date corpo a Cristo in cui confido. Domani andrò da Lei, la Madre della fonte, e le porterò la sete, mia e vostra, di fare ogni giorno quello che suo Figlio ci dirà.
+ Antonio, vescovo