Di riunioni così riuscite, sentite e partecipate se ne vedono poche, nelle piccole realtà come la nostra. La convocazione di venerdì ha riempito la sala dell’ex Cinema Italia di una folla appassionata e determinata: quattrocento le persone presenti, tra cittadini e autorità politiche. La battaglia contro la chiusura del reparto maternità non si ferma, anzi: proprio ieri sono state annunciate due piccole vittorie per il Comitato in difesa del punto-nascite. Una è la raccolta delle firme contro la chiusura, più di 15.000; l’altra è il successo avuto con il Tar, che ha congelato il provvedimento regionale. Se ne riparlerà il 19 febbraio, quando si terrà la seduta collegiale, ma per il momento il primo obiettivo del Comitato è raggiunto: l’attuazione della chiusura è stata sospesa.
A intervenire, oltre al presidente e al vicepresidente del Comitato, molte autorità, tra cui gli onorevoli Ceroni (PDL) e Terzoni (M5S) e i sindaci di San Severino (Cesare Martini, PD) e Tolentino (Giuseppe Pezzanesi, PDL). A dimostrazione che, in questa circostanza, “i colori” non c’entrano: “Questa non è una lotta politica – ha dichiarato Martini – ma una lotta di dignità e civiltà, portata avanti anche dal vostro atteggiamento meritevole e rispettoso. È questo il messaggio che deve arrivare”.
Ciò che è emerso da questa manifestazione è un insieme di sentimenti contrastanti. Da un lato ci sono la rabbia, l’amarezza, la sfiducia nel constatare come si siano svolti i provvedimenti in Regione: alla svelta, durante le vacanze natalizie, con tempi “da prima Repubblica”, come li ha definiti l’avvocato Massei. C’è delusione nel constatare, ancora una volta, l’assenza del presidente Ceriscioli, che non ha mai preso parte alle manifestazioni a cui è stato invitato. E c’è una certa perplessità di fondo, veicolata dalle parole dell’on. Ceroni, sul fatto che “si possa, contemporaneamente, essere presidenti della Regione e responsabili della Sanità”, perché la Sanità meriterebbe una figura dedicata: una personalità competente che si occupi solo di questo, perché la salute non tollera tagli né risparmi.
Ma c’è anche un gran senso di compartecipazione, di complicità tra i cittadini presenti e le autorità intervenute: l’atmosfera che si respirava ieri era soprattutto questa. Una solidarietà diffusa, manifestata anche dalle parole dell’on. Patrizia Terzoni di Fabriano: “Ci stiamo attrezzando per chiedere un referendum regionale che si interrogherà sia sugli ospedali, sia sul troppo potere della Giunta ragionale. Vogliamo una riforma sanitaria. E ogni riforma che si rispetti deve garantire gli stessi diritti e doveri a tutti: dal momento che nell’entroterra paghiamo le tasse esattamente come sulla costa, perché dovremmo rinunciare ai nostri diritti? Questo è un problema che riguarda tutti noi: Fabriano c’è. Avete la nostra massima disponibilità”.
Le argomentazioni a favore del reparto di ostetricia sono molteplici. La principale è interna allo stesso decreto di legge del 2010: le strutture con un numero annuo di parti che va dai 500 ai 1000, come la nostra, potranno restare aperte laddove ci siano “motivate esigenze”. Ed è ormai un parere unanime che l’entroterra marchigiano, con la sua viabilità chiaramente problematica, le “motivate esigenze” le abbia. Non solo: l’ospedale di Macerata, già oberato dall’alto numero di pazienti, avrà presumibilmente grosse difficoltà nell’affrontare un aumento di gestanti del 50%. Soprattutto dopo la recente delibera dell’Asur, che stabilisce importanti lavori di ristrutturazione che termineranno solo fra due o tre anni. Tutti i presenti alla riunione di ieri sembravano essere d’accordo: l’ospedale di Macerata non è pronto, non ancora, ad essere l’unico nosocomio in provincia.
Riassumendo: la rabbia c’è, la speranza anche, e la coesione non manca. Restiamo solo con un quesito, come ci ha ricordato il sindaco Martini: “Ceriscioli ha affermato più volte che la chiusura dei punti-nascita non soddisfa criteri economici; non lo fanno ‘per risparmiare’. Ma se non ci sono le motivazioni economiche, se non ci sono le premesse legislative, e se a Macerata non c’è sicurezza… il motivo, allora, qual è?”
Alessandra Rossi