Una marea di persone di ogni età e vestita per lo più di bianco e di rosso con scritto sulla maglietta “Mai più fiori recisi sulla strada” ha invaso, domenica 18 maggio, le strade e i vicoli della città di San Severino per partecipare, con il sorriso sulle labbra pur se anche con le lacrime agli occhi, a “La terza Camminata per la vita”, manifestazione per ricordare i 10 anni dalla dipartita di Matteo Falistocco, realizzata in ogni minimo dettaglio da Giammario Borri, ma nata da un’idea di Alberto Vitali. Eravamo 176 adulti e 5 bambini, più una ventina di accompagnatori.
L’iniziativa è nata da qualche anno per condividere il dolore dei genitori che hanno perso i loro figli sulla strada o per malattia e, come momento educativo, per sensibilizzare i giovanissimi alla sicurezza stradale.
Il corteo, partito dalla Piazza del Popolo dopo la foto di rito, il saluto del sindaco Rosa e di Padre Luciano, si è snodato per le vie cittadine guidato da Stefano Sgalla con il suo pick-up, insieme ai vigili urbani, ai carabinieri e accompagnato dalla Croce Rossa e dal gruppo Agesci della città (i soliti bravi ragazzi su cui puoi sempre contare, responsabili del servizio “Acqua per tutti”) fino a raggiungere l’incrocio per Taccoli sul tragico luogo di Matteo, dove di colpo è calato un silenzio assordante e la commozione era così visibile sul volto di tutti che quasi potevi toccarla con mano. Ci ha pensato Giambo a rompere il ghiaccio coi ringraziamenti di rito e, a seguire, diversi interventi liberi, profondi e toccanti: il fratello Luca, l’amico del cuore Nicola, che era insieme a lui nell’incidente, il sindaco Rosa, l’insegnante Paola Fiori, il poliziotto-ciclista Tiburzi di passaggio in bici, la consigliera di Parità della Provincia Debora Pantana e poi Giammario che, non è un caso, ha parlato a lungo sui cambiamenti di questi 10 anni e si è soffermato sulla indicibile sofferenza della famiglia Falistocco, i cui tre 3 fratelli hanno perso un rispettivo figlio sulla strada e un altro cugino è al momento in ospedale, come la sua ragazza, per uno scontro frontale con un’auto che non ha rispettato la precedenza. Ha ricordato anche le altre vittime per sottolineare come a San Severino non si rispecchi la normalità della vita: si nasce, si cresce, si matura, si invecchia, si muore; qui si muore prima, molto prima, troppo presto, se l’elenco delle vittime tra incidenti e malattie raggiunge le 25 unità negli ultimi vent’anni; l’elenco dei ragazzi risulta meno numeroso solo per il rispetto della legge sulla privacy, che non ha permesso di ricordarli tutti.
Giambo non ha perso l’occasione per rivolgersi ai giovanissimi in modo autorevole ricordando loro che “la vita… la vita… la vita è tutto ciò che abbiamo e intendo la vita di ognuno di voi. Dunque proteggiamola-difendiamola-amiamola-non perdiamola sulla strada, amiamola perché è l’unico regalo che non riceveremo due volte. I vostri sogni viaggiano con voi, proteggeteli”.
L’intervento dell’amico adulto e la forza trasmessale dal fratello hanno dato coraggio a Federica, la sorella di Pietro Fabiani, il ciclista di Montecassiano vittima di incidente il 12 aprile proprio a San Severino, una ragazza timida e silenziosa (presente con i genitori in incognito per loro desiderio), che ha invece palesato straordinaria forza e stupefacente sicurezza nella sua testimonianza sulla vita intesa come un vestito preso in prestito e, prima o poi, restituito (il testo è pubblicato in calce), e che ha suscitato emozione e commozione tali che non trovo le parole per esprimere.
Si è ripreso il cammino in un silenzio totale fino al piazzale Scuriatti dove altri interventi hanno aumentato la profondità delle emozioni e la ricchezza interiore, come di nuovo il sindaco ha messo in evidenza e non solo; ancora Giammario che ha ricordato Mirko, un giovane che ci ha insegnato come si muore con dignità e come si possa accettare anche la morte (“Fa parte del gioco”) e il sindaco di Montecassiano, Leonardo Catena, che ha fatto miracoli per essere presente per sussurrare parole di conforto e sono intervenuti altri ragazzi armati di coraggio per segnalare belle iniziative in itinere. Infine Alvaro, il padre di Mirko, che ha finalmente detto la verità: “Dobbiamo renderci conto che nostro figlio è vivo, è con noi e in noi”, dando ragione alle parole conclusive di Giambo, che riprendeva uno scritto di Ugo Foscolo: “Chi continua a vivere nel cuore di chi resta non muore”.
La manifestazione si concludeva con pizza e bibite per tutti, addolcite da paste e dolci offerti dal ristorante Scuriatti, a conferma che la solidarietà è nel cuore di tutti e tutti hanno fatto a gara per sostenerci non solo con una goccia (perché tante gocce fanno l’oceano – a forza di ripeterlo ce lo fa credere anche a noi), ma con gli scrosci d’acqua da Lucentini a Capozucca di Montelupone, da Alberto Vitali a Bonifazi Milena ed Elio, da Rotini alle pizzerie della città (Antino, Ago’s e Bordi), dalla Contram a Sgalla, da Alberto Falistocco a Fabiani, da Luzi e Paoloni all’Edicola dei Giardini, da Deltaplint a Necchi e Petrocchi, dal bar Pino agli amici vicentini dove abbiamo insegnato nel secolo scorso (“L’Amore arriva e… basta”) e a diversi altri anche privati che hanno dato 50 euro per una maglietta che Daniela ce la mette scontata oltre il massimo (son sicuro che con noi ci rimette anche stavolta), alla Pro loco e agli amici delle vittime, ai nostri figli e ai figli degli altri per aver pubblicizzato l’evento in ogni dove, e a tanti altri ma la memoria non mi aiuta più: tutte prove che attestano che condividiamo il dolore, ci sentiamo fratelli e vogliamo conquistare il Paradiso, chi prima chi dopo.
Dimenticavo Alberta Ricottini, che ci ha spiegato, come solo lei sa fare, il topos del fiore reciso prendendo spunto dagli autori latini e italiani che l’hanno utilizzato e leggendo da par suo il passo famoso de “la madre di Cecilia” dai Promessi sposi. Sarà stata la bravura di Alberta o gli occhi verdi magici della mia ex allieva che mi hanno distratto e così mi è sfuggito di presentare gli amici di Fabrizio Eugeni, il papà di Giorgio, volato in alto per un tumore giusto 10 anni fa anche lui, venuti da ogni parte delle Marche (sono i genitori di Maicol, Lorenzo e Gioia – anche loro per tumore – che ora giocano con Giorgio lassù insieme a Mattia che fa da arbitro del gioco dopo che l’alluvione di Senigallia l’ha tenuto nascosto per tanto tempo), amici che, insieme a Fabrizio e Daniela, supportano l’associazione “Dentro il sorriso” con lo scopo di sostenere la ricerca sul Neuroblastoma con sede a Genova (European Neuroblastoma Association onlus). Chiedo loro di nuovo scusa per la svista imperdonabile!
La manifestazione si è conclusa con la messa nella chiesa di Taccoli, con grande gioia del parroco don Donato che ha registrato il pieno e si è conclusa con Giammario (parla un po’ troppo, ultimamente!) che ha suggerito ai genitori delle vittime le parole che i loro figli stanno loro ripetendo, la prima di Henry Scott Holland: “Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Ciò che eravamo prima l’uno per l’altro, lo siamo ancora. Chiamami con il mio nome che ti è familiare, parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria di tristezza. Ridi come facevi sempre ai piccoli scherzi che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami… Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima; pronuncialo senza traccia di tristezza. La vita è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dalla tua mente solo perché sono fuori dalla tua vita? Il tuo sorriso è la mia pace”.
La seconda è di autore sconosciuto:
“Tu puoi spargere lacrime perché lui è andato oppure puoi sorridere perché lui è vissuto. Tu puoi chiudere gli occhi e pregare che torni indietro o puoi aprire gli occhi e vedere tutto ciò che lui ha lasciato. Il tuo cuore può essere vuoto perché non puoi vederlo o pieno dell’amore che avete condiviso, oppure puoi essere felice per il domani proprio a causa di ieri. Tu puoi ricordarlo, ricordare solo che è andato via oppure accarezzare il suo ricordo e lasciarlo vivere ancora. Tu puoi piangere e chiudere la mente, essere vuoto e voltare le spalle oppure puoi fare ciò che lui vorrebbe: sorridere, aprire gli occhi e… andare avanti. Perché chi continua a vivere nel cuore di chi resta non muore mai”.
Testimonianza di Federica
“Cos’è la vita? Chiaramente io a 30 anni non posso saperlo e forse non lo saprò mai, però ho capito una cosa in più che prima non avevo ben chiara e per quanto tanta gente ci sarà arrivata prima di me, ho capito che la vita non ci appartiene, la vita è in prestito. Ma non come un mutuo, non come un leasing. La vita è come quando un caro amico ti presta qualcosa perché ti è momentaneamente necessaria e lui si fida di te. Quando ti presta un vestito, un paio di scarpe per un’occasione speciale, oppure potrebbe prestarti la macchina perché ti è momentaneamente necessaria e lui si fida di te. O come quando da bambini un amico ti faceva giocare con qualcosa di suo. In ogni caso, quando usiamo qualcosa che ci è stato prestato, non vogliamo romperlo, ma nemmeno rovinarlo un minimo.
Vorremmo restituire ogni cosa esattamente identica a come ci è stata prestata, se non addirittura meglio di prima. La vita non ci appartiene, ce l’abbiamo solo in prestito. Morire è arrivare a quel momento della restituzione. E non vorremmo mai restituire quell’oggetto rotto, rovinato e consumato. Alla morte vorremmo arrivarci come quando riconsegni quel vestito che ti hanno prestato: lavato, stirato, profumato, intatto. E dici: “Ecco, tieni. Ho cercato di fare del mio meglio per non rovinarlo. Ne ho avuto più cura che potevo. Grazie del prestito”. A te l’hanno chiesto indietro ingiustificatamente e inconsolabilmente troppo presto, ma sono sicura che ti hanno fatto i complimenti per come l’hai usata e per come l’hai restituita”.
Giammario Borri