Mi avvicino al “Capo della piazza”, attratta dalla locandina della mostra di turno: è la volta di Leonardo Corneli, pittore conosciuto settempedano. Entro e vengo travolta dalla bellezza dei tanti quadri colorati, dal fasto di una moltitudine di figure immaginarie, aggrovigliate l’una sull’altra. Emerge subito, tra i verdi marini, i rosa, gli azzurri e i lumi di giallo, la cifra linguistica dell’artista: composizioni plastiche di figure femminili, stilizzate e orientalizzanti, giustapposte e isolate, talvolta come attorcigliate su fili verticali in ordine parallelo, altre inserite in mescolanze acquatiche tra forme zoomorfe e architetture fantastiche.
Incontro l’artista e chiedo un commento alla sua poetica, lui risponde con la modestia dell’autodidatta: «La mia pittura è casuale, sono reminiscenze che fuoriescono dal mio io, sono ricordi di viaggi in Asia, Sud America, Africa… sono commistioni… in un arrovellarsi di figure che sembrano cercare il sopravvento le une sulle altre».
Mi riavvicino e scorgo nelle sue «commistioni», delle creature ultraterrene come evocazioni aliene, trasfigurazioni estetiche; talvolta isolate a ricordare il decoupage, tecnica a lui cara: «Ho iniziato dipingendo figure sulle ante di un armadio, che poi ho trasportato su tela». Sono figure fluide, ondeggianti, in un moto ascendente, talora a forma di pesci o su imbarcazioni fantastiche, che sembrano navigare in un immaginario acquatico, a tratti dantesco, più raramente apocalittico.
Corneli mi racconta poi delle sue tecniche: «Uso colori ad olio che stendo non solo con pennello ma anche con canne selvatiche, per ottenere le caratteristiche campiture a tratti, ed uso fili d’erba rigidi con cui strutturo verticalmente forme architettoniche ed umane». Poi puntualizza l’uso del dripping, a citazione del famoso gesto fluido, che sembra utilizzare come operazione di ultima finitura.
Noto, nella moltitudine di forme, evocazioni allegoriche e soprannaturali, come stalagmiti, ergersi le erme, coronate da volti o maschere, arricchite da citazioni di copricapi vagamente egizi, di gorgiere seicentesche e poi ancora intorno archi, portici, minareti, obelischi, colonne, talvolta in ordinati grigliati.
Mescolanze di soggetti umani, carri allegorici romani, e zoomorfi fantastici come minotauri, gatti che diventano persone, gufi, farfalle, tori, cavalli, uccelli dal becco allungato: «Sono animali fantastici che riemergono da un fondo primordiale per rivivere… sono soggetti fuori dal seminato» illustra lui stesso. Fantasie oniriche e reminiscenze interiori, che spiegano la sua partecipazione a una prestigiosa collettiva organizzata a Roma, insieme alle opere di Guttuso e Dalì.
Concludo la mia visita entusiasta, a confermare che una mostra d’arte è un’esperienza arricchente e travolgente, ed anche se a chiamarti è un misero treppiedi, se entri, ti giri e non vedi una didascalia, un commento, un testo, insomma se il contenitore non invoglia, ti accorgi che basta il contenuto a sedurti! Sono le forme, i colori, le fantasie del mondo improbabile e immaginario di Leonardo Corneli, del suo “brodo primordiale da cui prende forma la vita”, che hanno reso quest’esperienza particolarmente stimolante ed entusiasmante.
Debora Bravi
Le opere di Leonardo Corneli sono esposte in questi giorni nella Chiesa della Misericordia, in Piazza del Popolo. La mostra chiuderà a fine mese.