Il regista sudcoreano Bong Joon-ho, a distanza di sei anni da Parasite, torna al cinema con il film di fantascienza Mickey 17 (soggetto il romanzo “Mickey7”, di Edward Ashton) ed anche questa volta, la critica sociale è alla base del suo lavoro. Mickey 17 è un’opera caratterizzata da azione, sci-fi, dark humour e analisi sociale, capace di mostrare come la società spinga, sempre di più, gli ultimi a sacrificarsi per il bene di pochi.
Il protagonista, Mickey Barnes (Robert Pattinson), è un uomo che fugge dalla Terra per via dei debiti: si imbarca in una missione spaziale per colonizzare un nuovo pianeta (la Terra è satura, la gente fugge alla ricerca di altri luoghi da occupare). Affrontare un viaggio spaziale e colonizzare un nuovo pianeta è difficoltoso, così il capo della missione, il crudele politico Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), decide di affidare le imprese più rischiose ai “sacrificabili”: soggetti che vengono ristampati ogni volta che muoiono durante una missione; Mickey si imbarca come “sacrificabile” e viene sottoposto ad una marea di morti e successive “ristampe”. Il diciassettesimo Mickey viene creduto morto durante un’operazione, e ne ristampano un altro: ci sono così due Mickey e, da quel momento, i guai aumentano.
Nel corso degli anni, Bong Joon-ho ha realizzato opere di grande qualità (i suoi thriller Memorie di un assassino e Madre sono imperdibili) e Mickey 17 deve sostenere un confronto difficile con altri importanti lavori del regista, come Parasite e Snowpiercer, con i quali condivide molti aspetti, specialmente quelli tematici. In sostanza, l’idea di Bong Joon-ho è la stessa presente in Parasite e Snowpiercer: nel mondo, i ricchi ed i potenti hanno la meglio sugli ultimi, li sfruttano finché possono, li fanno indebitare, li spolpano, li fanno a pezzi; nessun povero è degno di essere considerato e rispettato come un essere umano, sono tutti “sacrificabili”, come il nostro Mickey. Ed infatti Mickey viene avvelenato, maciullato, arso vivo, mandato a compiere le azioni più suicide in nome della “missione”: lo sottopongono a tutto, tanto non conta nulla e può essere ristampato (il concetto di ristampa rende proprio l’idea di come ogni povero, ogni ultimo, sia, in sostanza, replicabile facilmente, perché ciò che non conta niente può essere facilmente sostituito).
Il disprezzo dei potenti nei confronti degli ultimi era, come detto, palese nelle precedenti pellicole: in Parasite, vedevamo come, agli occhi dei ricchi, i poveri fossero tutti uguali (e avessero addirittura la stessa “puzza”, come dicevano i signori facoltosi); in Snowpiercer, i vagoni del treno indicavano le divisioni di classe. Mickey 17 si fonda su questa base sociologica e, come nelle opere citate, alla fine scoppia la rivolta: quando Marshall supera il limite e tenta lo sterminio delle creature native del pianeta in cui gli umani sono arrivati (ribattezzate, con disprezzo, “striscianti”), le stesse guardie al soldo del politico si ribellano; “l’ammutinamento” mostra come Bong Joon-ho non si fermi alla critica in sé, non si abbandona all’ineluttabilità delle ingiustizie, perché alla fine le contraddizioni arrivano al limite, esplodono e le trasformazioni si avviano.
Mickey 17 non aggiunge nuove considerazioni alle tematiche care al regista, ma l’autore sa come raccontarle, attraverso una regia dinamica, claustrofobica ma al tempo stesso aperta, ed una sceneggiatura ben congeniata: Bong Joon-ho riesce sempre ad essere ironico e serio al contempo, sa come scavare nelle contraddizioni sociali senza rimanere impantanato nel pessimismo (e questa volta, il suo atteggiamento è più positivo rispetto a Parasite e Snowpiercer). Il regista sudcoreano mostra la ferocia dei potenti verso i deboli, la crudeltà del colonialismo, riuscendo anche a rappresentare una sorta di possibilità di mutamento, di cambiamento verso un futuro migliore. Un cambiamento non facile, doloroso, complesso, ma, alla fine, inevitabile.
Silvio Gobbi