Il 1° ottobre è stata “La Giornata internazionale del caffè”: una giornata durnate la quale si promuove e si celebra il caffè come bevanda, con eventi che si svolgono in tutto il mondo. Un’esperta della materia è indubbiamente la nostra concittadina Agnese Santanatoglia, 27 anni, l’unica ricercatrice italiana (e la piu giovane) a intervenire allo Specialty Coffee Expo 2024 di Chicago e attualmente al terzo e ultimo anno del Dottorato di ricerca alla “School of Advanced Studies” presso l’Università di Camerino. Il suo percorso accademico è iniziato con la laurea magistrale in Farmacia industriale, ottenuta con lode ed encomio solenne nel luglio 2021. Successivamente, Agnese ha ricevuto una borsa di studio in Food Chemistry, seguita poi da un corso di perfezionamento in Nutrigenomica e Nutrizione molecolare presso la stessa università. Durante gli anni universitari, poi, ha trascorso sette mesi presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Granada, in Spagna, dove ha ulteriormente approfondito le proprie competenze. Infine, l’opportunità di intraprendere un Dottorato di ricerca è stata un punto di svolta, facendo nascere in lei una passione per il mondo del caffè che l’ha portata a presentare le sue ricerche a conferenze internazionali come, appunto, lo SCA Expo di Chicago nell’aprile 2024.
Cogliamo l’occasione della Giornata internazionale del caffè per intervistarla.
Agnese, come stanno andando le sue ricerche?
“Il mio obiettivo è sempre stato migliorarmi e contribuire con una ricerca innovativa, ispirandomi ai grandi ricercatori del settore. La mia passione per il caffè e la dedizione alla ricerca mi spingono ad esplorare costantemente nuove frontiere, cercando di coniugare scienza e tradizione. Un ringraziamento va al mio supervisor, il professor Vittori, nonché ai docenti Sagratini e Caprioli e a tutto il gruppo di ricerca (CHIM-10) per il loro costante supporto. La mia borsa di dottorato è cofinanziata dall’Università di Camerino e dalla Simonelli Group, nell’ambito del RICH (Research and Innovation Coffee Hub). Grazie a questo progetto ho avuto l’opportunità di partecipare a corsi di formazione sensoriale e brewing e di interagire con figure di spicco del settore caffè. Ringrazio inoltre la Simonelli Group, il dottor Fioretti (mio advisor aziendale), il Coffee Knowledge Hub e la Coffee and Beverage Community per il loro continuo sostegno. Da febbraio ad agosto 2024 ho trascorso il mio periodo di ricerca all’estero presso il FREC (Flavor Research Education Center), centro coordinato dal dottor D. Peterson, presso l’Ohio State University a Columbus, negli Stati Uniti. Questa esperienza mi ha arricchita, sia sul piano professionale che personale. Mi ha inoltre permesso di approfondire non solo la chimica del caffè, ma anche la ricerca sensoriale, esplorando in particolare come la percezione delle diverse note aromatiche e gustative possa influenzare l’esperienza complessiva del caffè”.
Da dove nasce la sua passione per il caffè?
“Dal fascino per il suo complesso profilo chimico e sensoriale. Tutto è iniziato durante i miei primi corsi SCA di sensory, brewing e barista durante il mio primo anno di dottorato, dove ho avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con esperti del settore. Questa esperienza mi ha spinto a esplorare la chimica del caffè e a comprendere come i vari processi, a partire dalla raccolta fino alla torrefazione, influenzano il risultato finale in tazza. L’esperienza pratica acquisita durante il mio dottorato, sia in laboratorio che nelle sessioni di assaggio, è stata fondamentale per comprendere a fondo il caffè. Questo approccio hands-on mi ha permesso di sviluppare un’intuizione più profonda sulle interazioni tra chimica e sensorialità”.
Qual è il focus principale della sua ricerca durante il Dottorato?
“In questi anni mi sono concentrata molto sull’analisi di otto metodi di estrazione del caffè filtro: AeroPress, Clever, Chemex, French Press, Moka, Pure Brew, Turkish e V60. Diversamente dalla maggior parte degli studi precedenti, focalizzati sull’espresso, abbiamo orientato la nostra ricerca sui caffè filtro, ancora poco studiati seppur sempre più popolari nel mercato. Includendo all’interno delle ricerche sia specialty coffee che caffè mainstream, per ottenere sempre di più risultati applicabili a una vasta gamma di caffè ed alla realtà. La nostra ricerca non solo si concentra sui composti chimici, ma anche su come questi influenzano l’equilibrio della tazza finale, un aspetto fondamentale per garantire un’esperienza sensoriale ottimale. Attraverso i vari lavori abbiamo esaminato la quantificazione dei composti bioattivi e volatili, correlando in alcuni casi i risultati con l’analisi sensoriale. I risultati hanno evidenziato che fattori come il tipo di filtro (forma e materiale), la temperatura dell’acqua, il tempo di estrazione ed il rapporto caffè-acqua influiscono significativamente non solo sulla quantità degli analiti estratti, ma anche sulla percezione sensoriale finale del consumatore. Ad esempio, il sistema Ibrik ha mostrato la più alta concentrazione di acidi organici, tra cui acido malico e acido citrico, che si è tradotto anche in un’acidità percepita molto alta. Al contrario, il Chemex ha presentato una minore estrazione di questi composti, suggerendo che il filtro di carta utilizzato in questo metodo possa trattenere alcuni analiti, riducendo così l’acidità percepita nella bevanda finale. Inoltre, i metodi di estrazione che utilizzano filtri metallici, come la French Press ed il Pure Brew, hanno mostrato un’acidità più elevata rispetto ai metodi con filtri di carta, sottolineando l’impatto significativo del materiale del filtro sull’estrazione degli analiti. Questi risultati evidenziano l’importanza della scelta del metodo di estrazione nel determinare il profilo aromatico e gustativo del caffè, rendendolo uno strumento cruciale. Le varie ricerche sui sistemi di estrazione ad oggi non possono considerarsi concluse poiché dai primi risultati e scaturita la necessita di ulteriori approfondimenti futuri”.
Cos’è l’acidità nel caffè?
“L’acidità è una delle componenti sensoriali più importanti e spesso incompresa del caffè. La prima volta che ho sperimentato davvero un caffè con questo attributo è stato appunto durante il mio primo anno di Dottorato, durante il corso di fondazione sensoriale SCA, dove ho assaggiato per la prima volta un caffè specialty proveniente dal Kenya e ho testato la sua brillantezza. Si manifesta attraverso note fresche e vivaci, frutto soprattutto della presenza di acidi organici come citrico, malico, lattico e clorogenici, ma non solo. Questi acidi infatti contribuiscono all’equilibrio ed alla complessità della bevanda, ma sono anche essenziali per esaltare le note naturali del caffè. L’acidità conferisce al caffè una brillantezza unica che lo distingue dalle altre bevande, anche se le sfumature di questa componente, spesso percepite come un sapore acuto o piccante, possono a volte non essere comprese o apprezzate dal consumatore medio italiano”.
Perché molti consumatori confondono l’acidità con l’amarezza?
“La confusione tra acidità e amarezza è spesso legata alle preferenze culturali, come in Italia, dove le tostature scure dominano e l’amaro è spesso considerato un segno di qualità. Tuttavia, questa percezione è fuorviante: l’acidità, quando ben bilanciata, arricchisce il profilo aromatico del caffè, contribuendo ad una tazza complessa e armoniosa. In generale per tutti gli appassionati ed esperti in materia un elemento chiave è l’educazione sensoriale, che permette di apprezzare la complessità del caffè. Attraverso una maggiore consapevolezza, i consumatori possono infatti imparare a distinguere tra le diverse note e tra l’acidità positiva, che aggiunge vivacità, e l’amarezza, che può invece risultare sgradevole se eccessiva. A questo proposito invito tutti ad assaggiare un caffè specialty”.
Quali composti chimici enfatizzano l’acidità nel caffè?
“L’acidità nel caffè è influenzata da un mix complesso di composti chimici, tra cui sicuramente acidi organici, anche volatili. Gli acidi come il citrico, il malico e i clorogenici giocano un ruolo chiave nel definire l’acidità percepita. Questi composti non solo determinano la brillantezza e la vivacità del caffè, ma interagiscono anche con altri elementi aromatici per modulare l’equilibrio generale della bevanda. La comprensione di queste interazioni è fondamentale per apprezzare pienamente la ricchezza sensoriale che un buon caffè può offrire”.
Qual è stato invece il suo progetto negli Stati Uniti?
“L’ho svolto durante il periodo presso l’Ohio State University e si è concentrato sulla comprensione dei composti chimici non volatili che influenzano la percezione dell’acidità nel caffè. Utilizzando un approccio di flavoromica, che combina analisi chimiche e sensoriali per identificare i composti che determinano specifiche percezioni gustative, ho esaminato 14 campioni di caffè arabica provenienti da diverse origini geografiche e differenti metodi post-raccolta. Durante il primissimo step, la prima analisi sensoriale, svoltasi all’Expo di Chicago, sono stati coinvolti tutti i più qualificati giudici italiani di SCA Italia, che ringrazio immensamente. Sebbene il lavoro sia ancora nelle fasi molto iniziali, siamo già molto entusiasti dei primi risultati, che potrebbero portare all’identificazione di composti predittivi dell’acidità, contribuendo così a ottimizzare la qualità del caffè”.
Recentemente avete anche quantificato due nuove molecole nel caffè. Come pensa che possano migliorare la qualità del caffè?
“La quantificazione dei due derivati dell’acido malico, precisamente il 2-isopropilmalico (2-IPMA) ed il 3-isopropilmalico (3-IPMA) rappresenta un significativo passo avanti nella ricerca sul caffè. Questi analiti sono stati identificati per la prima volta nel caffè grazie alla tecnica UHPLC-MS/MS, e si è osservata una correlazione potenziale con i metodi di lavorazione post-raccolta, in particolare con il metodo “honey”. Questi composti, derivati dell’acido malico, potrebbero infatti essere usati come indicatori del processo di fermentazione. Nel metodo “honey”, la fermentazione parzialmente controllata permette una maggiore attività microbica rispetto ad altri metodi, influenzando direttamente il profilo chimico del caffè e portando ad una più alta concentrazione di 2-IPMA, suggerendo il ruolo cruciale del processo di fermentazione nella formazione di questi derivati.
Oltre al loro potenziale come marker, il 2-IPMA e il 3-IPMA hanno dimostrato, in uno studio precedente svolto nel vino, un’attività antimicrobica significativa contro patogeni alimentari come Yersinia enterocolitica, suggerendo un ruolo potenziale anche nella protezione del caffè da contaminazioni microbiche. Inoltre, il metodo di lavorazione influisce anche sul 3-IPMA, sebbene i suoi livelli siano generalmente più bassi. Un ulteriore aspetto importante del 2-IPMA, è la sua capacità di chelare l’alluminio. Questo potrebbe essere anche particolarmente rilevante nei processi di preparazione del caffè con strumenti come moka o capsule, dove il contatto con l’alluminio è probabile. Pertanto, questi composti non solo possono essere utilizzati per monitorare il processo di fermentazione, ma potrebbero anche aprire la strada a nuove ricerche sulle loro caratteristiche sensoriali ancora sconosciute e sul loro potenziale impatto sulla sicurezza del caffè”.
Che cos’è per lei la qualità nel caffè?
“La qualità del caffè è un concetto multidimensionale che include purezza, assenza di difetti, e coerenza nel profilo aromatico e gustativo. Nei caffè specialty, la qualità è influenzata anche dall’origine, dai metodi di lavorazione e dalle pratiche agricole sostenibili, quindi da tutte quelle che sono sia le caratteristiche intrinseche che estrinseche. Inoltre, è essenziale che la qualità del caffè sia ottenuta attraverso pratiche sostenibili che rispettino l’ambiente e le comunità locali, un aspetto che considero cruciale nel mio approccio alla ricerca. La qualità deve riflettere non solo l’eccellenza del prodotto finale, ma anche l’impegno etico e sostenibile lungo tutta la filiera. Tuttavia, la qualità percepita varia a seconda delle preferenze individuali e delle aspettative del consumatore”.
Il suo prossimo obiettivo?
“Completare il Dottorato e continuare la mia ricerca sul caffè. Mi piacerebbe soprattutto continuare ad approfondire quella che è la tematica dell’acidità. La mia ambizione è anche quella di contribuire alla comunità globale del caffè, condividendo le mie scoperte e collaborando con altri professionisti per elevare ulteriormente gli standard di qualità e sostenibilità. Durante questi anni ho compreso come la ricerca sul caffè è il risultato di una stretta collaborazione tra discipline diverse, unendo chimica, biologia, e scienza sensoriale per offrire un contributo significativo al settore. Per me, ogni nuova scoperta rappresenta un passo avanti verso una comprensione più profonda del caffè, non solo come prodotto di consumo, ma come esperienza sensoriale e culturale che collega le persone in tutto il mondo, e spero di poter continuare a contribuire ad essa”.