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Antonio Paolucci e nel riquadro l'ex ministro al Feronia con Luca Maria Cristini
Antonio Paolucci e nel riquadro l'ex ministro al Feronia con Luca Maria Cristini

L’ultima visita di Antonio Paolucci a San Severino: “Io e lui su quella panca…”

Lo scorso 5 febbraio è morto a Firenze lo storico dell’arte Antonio Paolucci, ministro per i Beni culturali nel governo Dini, già soprintendente per il Polo Museale Fiorentino e direttore dei Musei Vaticani. Aveva 84 anni.
Nato a Rimini il 29 settembre 1939, Paolucci si era laureato in storia dell’arte nel 1964 con Roberto Longhi, iniziando la sua carriera nell’amministrazione statale come funzionario del ministero della Pubblica istruzione nel 1969, avvicinandosi al mondo delle soprintendenze.

Ospitiamo un ricordo di Antonio Paolucci a cura dell’architetto Luca Maria Cristini

Conobbi Antonio Paolucci, si può dire per caso, una decina di anni fa. Era stato invitato, all’inaugurazione dell’Irm, Istituto di restauro delle Marche, corso quinquennale istituito dall’Accademia di Belle Arti maceratese a Montecassiano. Ne conoscevo la sua lunga attività di storico dell’arte e i recenti, sempre più prestigiosi incarichi che lo avevano portato, infine, a dirigere i Musei Vaticani. Nelle sue trasmissioni televisive avevo apprezzato la maniera garbata, unita alla sua voce suadente, di raccontare le opere d’arte e gli stretti legami che queste instaurano con i luoghi nei quali o per i quali sono state concepite. Amava l’Italia centrale e le Marche; pur essendo nato a Rimini gli piaceva ricordare che la sua famiglia aveva origini urbinati. Quella è la terra al centro di più culture, dove il Rinascimento ebbe una delle sue fondamentali culle e dalla quale si diffuse in una serie di declinazioni – tra Tirreno, Appennino e Adriatico – che lui appassionatamente aveva studiato fin dagli inizi della sua attività di storico dell’arte.

Di Sanseverino lo studioso aveva spesso parlato, in passato, indicandola addirittura come di una delle capitali dell’arte d’Italia e paragonandola per grandezza a Milano, Venezia, Bologna, Palermo, Urbino, Napoli e poche altre città. Quel giorno a Montecassiano aveva ribadito quel concetto, perché, nel suo intervento – nel ricordare le sue passate esperienze nella nostra terra – non fece altro che menzionare quelle sue giornate di scoperta e studio insistendo più volte proprio su Sanseverino. Queste, avvenute alla fine degli anni Sessanta, lo portarono anche a scrivere per la rivista Paragone, nel 1971, il primo testo critico su Lorenzo D’Alessandro, la cui opera non era ancora mai stata prima investigata in maniera organica. Al termine della manifestazione, vedendolo mangiare solo, seduto su una panca e vincendo la mia naturale ritrosìa, mi avvicinai a lui, presentandomi come settempedano, docente della scuola e dicendogli che mi ero sentito lusingato dalle belle parole che aveva speso per Sanseverino. Alzando la vista dal piatto, dal quale stava con tutta soddisfazione piluccando delle fette di ciauscolo, dopo avermi invitato a sedere vicino a lui mi disse: “Perché non mi invitate a venire?”. Rimasi subito sorpreso positivamente dalla proposta ed ebbi la prontezza di ribattere: “Caro professore mi farò immediatamente messaggero di questo suo desiderio con i nostri amministratori”. Detto questo, cominciammo a conversare tra un boccone e l’altro – lui parlava e io ascoltavo – e fu per me una seconda lezione di affabilità e empatia unite a quel suo sapere mostruosamente vasto. Un’occasione direi irripetibile.

Antonio Paolucci era, in verità, tornato molte volte a Sanseverino, sia per il Premio Salimbeni, sia perché aveva collaborato ai comitati scientifici di diverse iniziative culturali, tra cui le due mostre sul Rinascimento umbratile adriatico, incentrate sulle figure di Lorenzo D’Alessandro e Bernardino di Mariotto e quella successiva sull’arte del Seicento. Suggerii subito all’allora sindaco Martini che l’occasione per farlo tornare, esaudendo il suo desiderio era la prossima inaugurazione della nostra Pinacoteca, in corso di rinnovamento. In questa, con la complicità dell’assessore Gregori, avevamo infatti esteso al piano terra il percorso di visita, arricchendolo con opere del Sei-Settecento, in un globale riallestimento estetico e funzionale di tutto il museo.

Paolucci e Cristini al Feronia

Dal sindaco partì l’invito e il professor Paolucci non esitò un attimo ad accettare: quel 19 marzo 2016 venne per l’ultima volta nella nostra città. In un teatro Feronia gremito, si tennero gli interventi preliminari al taglio del nastro, compreso il suo, forse un po’ troppo sacrificato dagli interminabili “saluti istituzionali”. Il suo esordio fu questo: “Da giovane ho frequentato spesso questa zona dove ci sono tantissime opere importanti e meravigliose e dove c’è una piazza, quella del Popolo, che è pura e melodiosa come una conchiglia rivestita di caldo laterizio dai colori della terra, del sole e del pane. Della Pinacoteca che si andava ad inaugurare, dichiarò che, citando Zeri, che “Uno storico dell’arte che si definisca tale, non può non conoscerla”.

L’ingresso alla nuova sezione del Barocco

Osservò che questo museo, che custodisce tesori dal valore inestimabile come la Madonna della Pace, considerata il capolavoro del Pinturicchio, o i polittici di Vittore Crivelli e dell’Alunno insieme ai capolavori di Allegretto Nuzi, Lorenzo d’Alessandro, Paolo Veneziano e Bernardino di Mariotto, dal tempo del suo primo allestimento era stato però “amputato” di una parte fondamentale, che nel nuovo allestimento veniva recuperata, con l’aggiunta del percorso sul Barocco, definendolo “una doverosa riscoperta, considerato che l’arte a San Severino sembrava avere nel ‘500 il suo capolinea. E non è così”.

Nella sala degli Stendardi (foto G. Gennaretti)

Altra sua osservazione fu un indiscusso plauso al vivo colore dato alle sale in sostituzione, disse, “di quel bianco clinico”, sgombrando in un sol colpo il campo dalle numerose perplessità che questa operazione aveva suscitato negli uffici comunali e in Soprintendenza. Ultimo apprezzamento sul nuovo allestimento Paolucci lo riservò alla nuova sala degli stendardi dei Castelli e alla sua funzione nell’accrescere il valore di appartenenza e di orgoglio delle comunità di tutto il territorio comunale.

Taglio del nastro (foto Hexagon)

Dopo il taglio del nastro in Pinacoteca ci lasciò con un impegno: “Continuerò ad essere ambasciatore di San Severino capitale dell’arte anche perché questa città è stata la mia stella polare”. E così fece, perché solo pochi giorni dopo uscì sulle pagine de “L’Osservatore Romano” un lungo articolo a sua firma intitolato “Belli come un prato fiorito”.

Si può leggere in rete quello che si può ancora oggi considerare una dichiarazione d’amore per Sanseverino e un sintetico trattato sulla nostra arte: https://www.museivaticani.va/content/dam/museivaticani/pdf/musei_papa/saluto_direttore/rassegna_2016/454_belli_prato_fiorito.pdf

Luca Maria Cristini

Il nuovo colore delle sale della Pinacoteca

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