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Giorgio Zampa
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Ricordo di Giorgio Zampa uomo di teatro (terza parte)

di Alberto Pellegrino

Nei rari ma intensi colloqui con Giorgio Zampa il nostro interesse si concentrava a volte sulla comune passione per il teatro e si finiva anche col parlare di un grande personaggio della scena europea come Bertolt Brecht. Nel 1949, in piena guerra fredda e dopo quindici anni di esilio, lo scrittore era ritornato in Germania e il governo comunista della Repubblica Democratica Tedesca gli aveva offerto la possibilità di lavorare, ma nello stesso tempo ne aveva fatto la punta di diamante della sua politica culturale, per cui nel mondo occidentale Brecht diventava un facile bersaglio per ogni genere di attacco anche in Italia, dove la conoscenza approfondita della sua opera era ancora circoscritta a una ristretta cerchia di specialisti.

I principali caratteri del teatro brechtiano

Da profondo conoscitore della letteratura tedesca contemporanea, Zampa era consapevole che Brecht, fin dalla giovinezza, si era ispirato alla dottrina marxista e all’ideologia comunista e questo l’aveva portato con il suo teatro a opporsi ai valori e alla morale della borghesia, pur mostrando sempre una concezione molto personale del comunismo e mantenendo la propria indipendenza nei confronti dei partiti stalinisti. Coerente con i suoi ideali socio-politici, Brecht ha rappresentato nei suoi drammi la tragica situazione sociale ed economica di una Germania sconfitta dopo la prima guerra mondiale; la lotta contro la follia dell’ideologia nazista e contro la dittatura del Terzo Reich; la pericolosa insensatezza della guerra. Brecht ha criticato il capitalismo borghese e ne ha demistificato i meccanismi sociali dominanti; si è schierato dalla parte del proletariato e della lotta di classe; ha condannato il Potere in tutte le sue manifestazioni con accuse durissime e con forme di dissacrazione grottesca. Con le sue opere ha infranto le regole del teatro tradizionale in funzione anti-romantica e anti- naturalistica per dare voce a chi non aveva la forza farsi sentire e per questo ha portato sulla scena i suoi poveri eroi: un popolo di operai, di emarginati e affamati, di donne sfruttate e vilipese.

Brecht ha concepito un rapporto attivo e dinamico fra teatro e società e per questo ha ideato un teatro didattico caratterizzato da un forte impegno ideologico e pedagogico con opere che hanno segnano una tappa fondamentale del suo percorso teatrale, perché l’autore si è appellato alla ragione dello spettatore per invitarlo al dibattito delle idee, alla scontro tra tesi e antitesi, alla non-identificazione con la vicenda rappresentata, per renderlo un osservatore distaccato e fortemente critico anche con l’impiego di canzoni, cartelli esplicativi, proiezioni, didascalie scritte.

Brecht ha poi dato vita a un teatro epico con lo scopo di recuperare l’uso della ragione nel rapporto spettacolo-spettatori, eliminando ogni immedesimazione (rapimento) che provoca l’alienazione dello spettatore, il quale viene trasformato in “materia passiva” e che può verificarsi quando il teatro porta sulla scena le grandi passioni e un’esasperata introspezione psicologica dei personaggi. Secondo Brecht il testo epico deve mostrare “immagini efficaci della realtà sociale”; deve far comprendere che la storia è un prodotto in divenire soggetto a continue modifiche; deve far capire che anche le vicende del passato possono risultare utili per avviare un dibattito ideologico, per affrontare le problematiche contemporanee come il fallimento della scienza quando perde il contatto con le masse (Vita di Galileo) o si coltiva l’illusione di trarre vantaggi materiali dalla guerra (Madre Coraggio).

Il valore del drammaturgo tedesco secondo Giorgio Zampa

Nel 1966, nel decimo anniversario della morte di Brecht, Giorgio Zampa ha pubblicato sulla Stampa di Torino un articolo nel quale ha preso posizione contro le polemiche ideologiche e politiche che ancora infuriavano tra ammiratori e detrattori del grande drammaturgo. Pur non essedo un marxista, egli ha valutato da studioso tutta la complessa opera brechtiana: “Brecht è uno degli autori più rappresentativi del mondo […] La durezza degli attacchi in sede politica e ideologica s’è in parte mitigata, la grossolanità di certi argomenti ha lasciato il posto a considerazioni più pacate e sottili […] A differenza di tante altre del nostro tempo, l’opera di Brecht emana un senso di salute vigorosa, il suo ethos, la sua azione formatrice, tanto più efficace quanto più spontanea, non hanno bisogno di essere dichiarati, programmati […] quest’opera è una lezione di vita! Un invito asciutto, chiaro, perentorio ad accettare la verità di alcuni principi semplici e terribili: che un uomo è sempre un uomo e che il mondo va trasformato, se si vuole cominciare ad abolire le cause dei suoi mali”.

Nel 1967, nel riprendere il discorso sul drammaturgo tedesco, Zampa approfondiva il valore e il significato della sua opera: “Brecht, a un certo punto della sua vita decise di fare del teatro per cambiare il mondo. Voleva trasformare la società mediante esempi desunti dalla storia e dalla cronaca interpretate da un certo angolo, con l’impiego della dialettica marxista. Lasciamo stare le possibilità di riuscita dell’operazione, la sua giustezza sul piano teorico. Brecht rimane uno dei maggiori autori teatrali del secolo”. Ribadiva che siamo di fronte a un autore che si distingue per l’alta qualità del suo linguaggio: “Le teorie del drammaturgo […] non sono forse così originali come si crede. Non tocchiamo neppure il regista, davvero geniale, al quale si devono dei modelli assoluti. Quello che importa è un fatto solo: la qualità del linguaggio. Brecht faceva teatro anche scrivendo la nota della spesa. Quando componeva un dialogo, si trattasse di Galileo e dell’Imperatore, del cuoco di Courage e del lanzo, della padrona d’un casino e di un furfante, non aveva bisogno di trasformare nulla: realizzava, semplicemente, immediatamente. Per questo erano ridicole le accuse di plagio che gli vennero mosse al tempo dei suoi primi lavori, l’accusa di avere impiegati brani di Villon. Brecht poteva usare qualsiasi materia altrui, perché, nel momento in cui l’inseriva in un suo contesto, l’aboliva” (Le quattro stagioni, 969, pp.69/70).

La riscoperta delle opere giovanili

Alla fine degli anni Sessanta, Giorgio Zampa è stato il primo a recensire sulla Stampa le farse giovanili di Brecht finalmente tradotte in italiano. Ha messo in evidenza che in esse è già presente il gusto per la provocazione, il disprezzo per le consuetudini e per l’esibizionismo della borghesia; la volontà di criticare la disumanità della ragione, l’uso di un linguaggio che già rivelava le infallibili qualità dell’autore.
Scritte tra il 1919 e il 1926, sotto l’influenza di Karl Valentin, autore e attore comico tedesco allora molto popolare, queste opere mostrano una loro vis polemica a cominciare dallo Sposalizio piccolo borghese, nel quale si rappresenta la grettezza e la volgarità di un pranzo di nozze. La Retata racconta la storia di un pescatore ubriaco che, per mettere in trappola la moglie che sta per tradirlo con un compagno occasionale, imprigiona entrambi in una rete. I suoi compagni gettano i due amanti dentro una fontana, dalla quale escono grondanti e intirizziti ma tutto si aggiusta: l’uomo ritorna a casa, la donna si carica sulla schiena il marito ubriaco e lo depone sul letto destinato a commetter adulterio. L’Esorcista ha come protagonista un ragazzo di campagna che finisce sopra un tetto durante un’avventura amorosa ed è scambiato dal parroco per un’apparizione diabolica. Lux in tenebris mette in scena in modo comico e polemico la vicenda di un imprenditore che apre un Centro d’informazioni sulle malattie veneree di fronte a una casa chiusa. Nonostante gli affari prosperino, l’uomo chiude l’azienda, perché trova più conveniente diventare socio della proprietaria del postribolo.

Brecht regista e l’importanza del “Berliner Ensemble”

Nel 1949 Brecht aveva fondato il Berliner Ensemble, un “mirabile” complesso teatrale in grado di valorizzare le sue qualità di autore-regista e la Repubblica Democratica Tedesca gli aveva messo a disposizione un vecchio stabile, il Theater am Schiffbauerdamm, che lui aveva trasformato in uno straordinario centro di produzione teatrale fino al 1956, quando la morte aveva improvvisamente interrotto il suo lavoro.
In un articolo, pubblicato sulla “Terzapagina” del Giornale di Montanelli del 9 luglio 1989 e intitolato Una luce sulla scena di B.B, Giorgio Zampa ritornava a parlare di questo autore teatrale, prendendo spunto dal saggio Brecht regista di Claudio Meldolesi e Laura Olivi (Il Mulino, 1969).
Meldolesi ha analizzato l’attività di Brecht come regista-autore e direttore artistico responsabile della messa in scena di drammi fondamentali per storia del teatro come Madre Coraggio, Il cerchio di gesso del Caucaso, Vita di Galileo. Laura Olivi ha raccolto una serie d’interviste ad attori, collaboratori, visitatori occasionali che hanno fornito testimonianze utili a comprendere meglio la genialità di Brecht. Questi materiali, sicuramente importanti, non sono sufficienti per restituire la magia di quegli spettacoli, perché “fare teatro – ricorda Zampa – vuol dire lavorare sull’effimero, sull’imponderabile e l’intraducibile” e aggiunge: “Posso affermare questo con discreta cognizione di causa perché assistetti a lavori allestisti da Brecht, con interpreti da lui voluti immediatamente dopo la sua scomparsa: a parte il giudizio di merito (ritengo di non avere più veduto, in seguito, nulla che dal punto di vista teatrale posa stare alla pari), non mi sembra di avere ritrovato in nessuna delle descrizioni passatemi in seguito sotto gli occhi nulla che me li rievocasse con efficacia”.

Il volume di Meldolesi-Olivi, scritto con acume critico e con l’impiego di materiali inediti, costituisce un prezioso strumento per mantenere viva la memoria dell’altissimo stile e della poesia della scena di Brecht. Secondo Zampa, questo libro “evoca l’immagine di un uomo di teatro che culto più o meno reverenziale di reggicoda, ottusità politica, presunzione accademica, approssimazione di orecchianti e di velleitari, oltre che germanica, terrificante seriosità, rendono spesso inconoscibile […] Non ne trascuri la lettura, anzi lo studio, chi aspira a conoscere un aspetto centrale del lavoro di Brecht e un momento carico di conseguenze per il teatro del secolo”.

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