di Alberto Pellegrino
Ricorre il 650° anniversario della nascita di Lorenzo Salimbeni (1374-1420, pittore nato a San Severino Marche che, insieme al fratello Jacopo è considerato in Italia uno dei principali esponenti del gotico internazionale in Italia e il fondatore della Scuola pittorica sanseverinate. Lorenzo è probabilmente la personalità artisticamente più significativa rispetto al fratello, con il quale ha tuttavia realizzato un insieme di opere che costituiscono un grande patrimonio artistico formato da affreschi di carattere sacro che vanno dalla semplice immagine votiva ai grandi cicli pittorici. Lorenzo ha operato nel periodo storico durante il quale gli Smeducci hanno imposto la loro signoria su San Severino e la città sta attraversando una fase di notevole prosperità economica per le numerose aziende sorte nel Borgo Conce e per i traffici commerciali indirizzati anche fuori dalla regione, i quali favoriscono i vivaci scambi culturali con il Veneto, l’Emilia e la Lombardia che fanno arrivare nelle Marche i modelli pittorici transalpini. Questo ambiente socio-economico può aver favorito la formazione culturale e artistica di Lorenzo Salimbeni che, fin dalla giovane età, è stato in grado di realizzare opere caratterizzate da influenze locali ma anche lontani stili pittorici.
La tavola di San Severino
L’unico dipinto su tavola di Lorenzo, giunto fino a noi, è il Matrimonio mistico di Vergine con Santa Caterina con ai lati i santi Simone e Taddeo, mentre sul resto vi sono raffigurati a destra un San Luca e a sinistra una Pietà.
Questa opera risulta particolarmente importante, perché dimostra come l’artista abbia raggiunto una notevole capacità espressiva attraverso un raffinato movimento dei panneggi, l’uso di colori vivaci e un minuto realismo dei dettagli, tutti elementi che rivelano nel giovane pittore non solo un’ascendenza da Gentile da Fabriano, ma l’influenza di pittori veneti e boemo-renani.
“L’opera rivela già nell’artista una profonda conoscenza dei caratteri propri del gotico internazionale: lo dicono l’ampio e prezioso piegare del panneggio della Vergine, l’andamento allungato ed esile delle figure, il prato fiorito sul quale esse poggiano” (Pietro Zampetti).
Il dipinto ha anche una notevole rilevanza storica, perché in esso è riportata la data dell’anno 1400 e la firma di Lorenzo, il quale dice di averlo fatto all’età di 26 anni. L’opera, si legge ancora nell’iscrizione al colmo dello scomparto centrale, è stata commissionata dal monaco Antonio di Petrone e da Perna di Nicolò, una sarta dedita alla lavorazione dei panni di lana e questo può costituire un ulteriore legame del pittore con la sua città, dato che Lorenzo era figlio di Salimbene di Vigiluccio attivamente impegnato nel commercio dei panni di lana (R. Paciaroni, La famiglia di Lorenzo e Jacopo Salimbeni nella documentazione archivistica, in Paragone, XXXIV, 1983).
I cicli pittorici di San Ginesio, della Basilica di San Lorenzo e del Duomo Vecchio
Agli inizi del Quattrocento risale la sua Crocifissione nella Chiesa di San Domenico a Cingoli, mentre è firmata e datata 1404 la decorazione, oggi in stato frammentario, della Loggia pubblica successivamente incorporata nella Chiesa di Santa Maria della Misericordia a San Severino. Nella superiore della sala restano alcune figure di profeti e un Cristo benedicente insieme a elaborati e originali ornati vegetali. Al 1406 risalgono gli affreschi nella cripta della Collegiata di San Ginesio con le Storie di San Biagio, una Madonna col Bambino tra Santo Stefano lapidato e Ginesio in abito di giovane paggio che suona il liuto, alcuni Miracoli di San Ginesio.
Nel 1407 Lorenzo realizza a San Severino gli affreschi, in gran parte monocromi, nella cripta della Basilica di San Lorenzo in Doliolo con le Storie di Sant’Andrea, una Crocifissione e santi, diverse pitture votive con figure di santi, una lunetta con San Giacomo tra santi, pellegrini e battuti bianchi, nella quale si individua anche lo stemma degli Smeducci, signori di San Severino. Il ciclo pittorico è caratterizzato da una sicura eleganza e dall’affascinante verve narrativa; inoltre, ad esso si aggiungono gli affreschi nell’attuale sagrestia della Basilica che raffigurano le Storie di San Lorenzo e scene di vita popolare, manifestando un’analoga eleganza formale, una rinnovata capacità di legare uno stile personale a orientamenti provenienti da aree artistiche al di fuori delle Marche. Si tratta di un’altra prova del linguaggio sospeso tra raffinatezza pittorica e intuizione psicologica di questo singolare artista, capace di proporre schemi narrativi sempre ricchi di originali invenzioni, apprezzabili nella composizione globale e nella cura dei dettagli ripresi con il gusto per una ironia che non scade mai nel popolaresco.
Quest’opera si ricollega agli affreschi dello stesso periodo con le Storie di San Giovanni evangelista, in origine situati nella cappella sottostante la torre campanaria del Duomo Vecchio a San Severino (oggi custoditi nella Pinacoteca comunale). In questi dipinti, commissionati da Oliviero di Viviano, compare per la prima volta, accanto a quella di Lorenzo, la firma del fratello Jacopo. Si tratta di un ciclo dipinto a colori molto vivaci, nel quale prevale ancora il racconto raffigurato attraverso una serie di quadrettature che ricordano le pagine miniate di un libro trecentesco. Lorenzo e Jacopo hanno adottano uno stile “narrativo” che antepone alla visione d’insieme la ricerca del dettaglio aneddotico, il realismo delle scene “di genere”, finendo in alcuni casi per mettere in secondo piano il soggetto religioso.
Le opere dei primi anni del Quattrocento
L’attività dei due artisti si espande anche al di là della catena degli Appennini come testimoniano da alcune opere realizzate a partire dal 1410: l’affresco con la Madonna della misericordia e due santi nella chiesa della Madonna della Villa presso Perugia; la partecipazione all’esecuzione del Giudizio universale, iniziato da Ottaviano Nelli, nell’arcone della Chiesa di San Agostino a Gubbio. Appartiene sicuramente a Lorenzo la stupenda Crocifissione che si trova nella Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, la quale proviene dal convento di San Benedetto dei Condotti e rappresenta uno dei vertici artistici raggiunti dal pittore sanseverinate. Allo stesso periodo si possono far risalire le figure sempre più slanciate e sempre più sofisticate a carattere prevalentemente votivo eseguite nella città natale nella Chiesa di San Francesco al Castello e di Chiesa di Santa Maria della Pieve (i dipinti per la maggior parte conservati nella Pinacoteca comunale); alcuni dipinti nella sacrestia della Chiesa di San Domenico.
Il capolavoro dell’Oratorio di San Giovanni a Urbino
Intorno al 1413 i Fratelli Salimbeni danno inizio al ciclo di affreschi nell’Oratorio di San Giovanni a Urbino, opera che rimane il loro capolavoro assoluto. La decorazione comprende tutta la parete destra con alcuni episodi della vita di San Giovanni Battista (dall’Annuncio a Zaccaria all’Incontro con Erode). La parete di fondo è dominata da una gigantesca e popolosa Crocifissione, sotto la quale sono riportate la firma dei due fratelli e la data di compimento nel luglio 1416.
Nella parete di sinistra sono collocati due affreschi mariani, ai quali nel passato non è stata mai attribuita molta rilevanza artistica essendo considerati opere minori rispetto alle altre opere, mentre ora è stata rivalutata loro importanza nel quadro complessivo dell’intero ciclo urbinate: La Madonna del Paradiso è stata attribuita a Lorenzo per la sua preziosità stilistica e per la sua intensità mistica, mentre La Madonna col Bambino e i Santi Sebastiano e Giovanni Battista è stata ritenuta opera di Jacopo per la corposità e il maggiore realismo soprattutto per quanto riguarda le figure dei due santi.
La parete di fondo è occupata dal grande affresco della Crocifissione, opera imponete e drammatica per la sua complessità narrativa e per la densità figurativa. La parte centrale della scena è dominata dalla figura del Crocifisso circondato da quattro angeli, che raccolgono il Sangue nei loro calici.
Alla base della croce, oltre alle figure straziate dal dolore di Maria Maddalena e di Giovanni, vi sono le pie donne che circondano il corpo della Madre che giace svenuta. Intorno alla croce, sulla destra è radunata la massa dei Giudei con il Centurione (che indica la croce) e alcuni cavalieri che indossano eleganti armature e abiti quattrocenteschi; sul lato sinistro vi sono altri cavalieri e armigeri appiedati. Ai lati della croce i pittori hanno dato un particolare rilievo alle figure dei due ladroni con caratteristiche che rendono la scena vivace in un clima di tragedia e misticismo: a destra, sopra la croce del “cattivo ladrone”, volteggia un diavolo dal volto terribile, dall’aspetto felino e dalla coda aguzza, che ha strappato l’anima del dannato facendogli assumere l’aspetto di un corpo afferrato per i piedi e quindi rivolto all’ingiù; a sinistra, sopra il corpo del “buon ladrone”, vi è un angelo che raccoglie la sua anima raffigurata con l’aspetto di un fanciullo.
L’arte dei Salimbeni si esprime con una eleganza di forme e una delicatezza di colori nel gruppo centrale delle pie donne, quasi si trattasse di un gruppo a sé stante, mentre la restante composizione si caratterizza per la forza dei volumi e per la drammaticità cromatica. Nel complesso sia di fronte a uno dei cicli più rilevanti della pittura tardogotica del Quattrocento per la ricchezza decorativa, l’atmosfera squisitamente cosmopolita in cui sfumano anche gli aspetti più drammatici della vicenda, l’arguzia di tanti aneddoti, di personaggi e di situazioni che si mescolano al racconto sacro. I personaggi, che assistono alle storie del Battista, si stagliano su luminosi sfondi blu cupo; sono collocati in rigogliosi giardini dai colori di smalto; vestono preziosi abiti all’ultima moda tanto da rappresentare una variopinta cronaca mondana.