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«Ah, che bella la campagna toscana!». Ma dove vanno a finire le nostre case coloniche?

Chi di voi non ha mai sentito dire: «Ah, che bella la campagna toscana!» e aggiungere: «Beh, poi devi vedere come ristrutturano là i loro casali: che meraviglia!» (già, la parola “casale”, rispetto a “casa colonica” aggiunge due quarti di nobiltà in più, forse perché evoca una nota rivista del fai da te progettuale).

La nostra edilizia rurale, salvo rare eccezioni, è costituita da edifici privi di elevata qualità architettonica e formale; essi sono però esempi, con forte connotazione territoriale, di quell’ottimizzazione secolare delle tecniche costruttive, guidata da necessità di essere economici e funzionali; in altre parole, una sorta di spontanea tendenza a quello che sarebbe diventato il razionalismo architettonico, che solo nel secolo scorso ha avuto la formulazione teorica.

La nostra casa rurale è semplice, austera, in perfetta fusione con il nostro paesaggio e con il carattere, guarda caso, semplice e austero dei marchigiani. Deriva dalla secolare messa a punto quell’unità produttiva di base del sistema agricolo mezzadrile e che rappresentava il minimo utile per il sostentamento di una famiglia di coloni.

Ebbene, paradossalmente, quando si è riconosciuto ufficialmente il rilievo che merita, ovvero proprio quando il Ministero della Cultura (si chiama ancora così?) ha avviato forme di tutela verso quella componente “demoetnoantropologica” del nostro patrimonio culturale, questi elementi stanno pian piano scomparendo dalle nostre campagne: cancellati e sostituiti. La corsa a demolire le case coloniche tende a rimpiazzarle con la ‘casa dei sogni’ di ciascuno, edifici distorti e sproporzionati a cui ‘affidare’ i propri souvenir di viaggio: il cornicione rinascimentale, il comignolo della Val di Non, il patio eoliano. Ma sono convinto che sia inutile fare regole e vincoli, se quanto si vuol tutelare non è percepito come valore.

Gli edifici tradizionali in muratura, in barba al principio della loro conservazione e complice il deleterio “Piano Casa”, si trasformano in strutture intelaiate di cemento armato, alle quali si applica poi una fodera in pietra o mattoni, perché il tutto assuma un sapore ‘rustico’, che sa di antico. Le nostre case rurali (e non solo, visto che, purtroppo, questa pratica trova sempre maggiore applicazione anche nei centri storici), così scompaiono; pur rimanendo più o meno vincolate alla sagoma originaria, cambiano, in realtà, completamente aspetto. Finestre di superficie maggiorata, sporti di gronda enormi, fodere murarie con posa in opera di pietre “a madonna” (ovvero con i piani di allettamento verticali), malte ed intonaci additivati con resine viniliche, rendono l’insieme un grossolano fantasma dell’edificio d’origine, cancellando ogni traccia dell’originale. Peggio, poi, quando si vuole scimmiottare la villa hollywoodiana, con tettoie in ogni dove, intonaci plastici, bugne, balaustre e cornici, coperture con sporgenze come cappelle di funghi. Altre pratiche tipiche prevedono la realizzazione di locali sotterranei, che molto spesso raddoppiano il volume originario; la nuova cubatura realizzata sottoterra non rientra nel calcolo del volume dell’edificio, quindi non costituisce un abuso edilizio. Dopo qualche tempo si procede allo sterro e il gioco è fatto. Oppure quando, per costruire ex novo, si ricorre a quell’insana, dilagante prassi, di realizzare fittizie rimesse per attrezzi agricoli, che, dopo pochi anni, mutano regolarmente di destinazione d’uso trasformandosi in confortevoli cottages per la villeggiatura.

La nostra edilizia perde i suoi tratti d’originalità, facendo mutare d’aspetto il tipico paesaggio agricolo

Ovviamente non pretende di vedere applicati alle nostre case rurali i criteri di restauro formulati da Cesare Brandi per gli edifici monumentali; ciò, costituirebbe un freno alla tendenza al riuso delle case di campagna a fini abitativi, che è una tendenza positiva. Però in questo modo rischiamo di perdere il nostro patrimonio edilizio rurale in via definitiva e, con esso, uno degli elementi fondamentali del nostro paesaggio. Quando, poi, avremo abbattuto tutti i filari di querce che, fiancheggiando le nostre strade di campagna, disegnano mirabili arabeschi sulle colline, il nostro contesto agricolo avrà per sempre perso ogni sua residua peculiarità. Le normative vigenti permettono di operare un ben congegnato sistema di interventi a costo contenuto e a bassissimo impatto sulle strutture murarie tradizionali, preservandone la natura e dotandole di un maggior coefficiente di sicurezza. I professionisti del settore e le imprese sono ormai allenati su queste tecniche, ampiamente adottate negli ultimi anni nella nostra regione. Il recente sisma ha messo alla prova edifici ristrutturati in passato con queste modalità, avendo questi dato eccellente prova di tenuta strutturale. Posso fornire degli esempi a chi lo volesse. Per quanto concerne le finiture, il mercato mette poi a disposizione infinite soluzioni – economiche e di maggior impegno economico – per ripristinare un aspetto coerente con quello d’origine.

È solo una questione di cultura. Se si osserva con attenzione, la maggior parte delle case restaurate con garbo e mantenute nella loro fisionomia originale nelle nostre campagne sono di proprietari stranieri, che riconoscono valore a questi aspetti e li curano il più possibile. Non è un caso che in Toscana inglesi, olandesi e ricchi viaggiatori siano giunti un secolo prima che da noi…. Dobbiamo dunque far diventare questi edifici – che per alcune generazioni hanno portato con loro un retaggio di vita difficile e faticosa, ormai superato – qualcosa a cui si dà valore, in una lettura complessiva del contesto paesistico, facendoli diventare oggetti desiderabili per come sono. Solo la conoscenza e una sensibilità nuova può stimolare la volontà di conservare e valorizzare invece di demolire e ricostruire. Possiamo fare molto per far crescere questa attenzione: imporre solo vincoli senza spiegare il valore di cosa si voglia tutelare, come fa da anni chi governa i nostri territori, è odioso e non porta frutti.

Resterà un futuro in bianco e nero per le nostre case coloniche?

Il metodo da adottare è sintetizzato in questa mirabile frase di Antoine de Saint-Exupéry: “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”.

Luca Maria Cristini

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