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"Napoli velata"
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La recensione: “Napoli velata”, un film sospeso

Pubblicato da Mauro Grespini in Cultura 2,151 Visite

L’ultimo film di Ferzan Özpetek Napoli velata, uscito recentemente nelle sale, narra la storia del medico legale Adriana (Giovanna Mezzogiorno), la quale si innamora del giovane Andrea Galderisi (Alessandro Borghi), dopo aver passato solamente una notte d’amore con lui. Il loro rapporto non è destinato a decollare perché, purtroppo, il giovane viene misteriosamente ucciso poco dopo la loro notte di passione. Le indagini seguenti all’omicidio, riveleranno il lato nascosto del ragazzo e la vita di Adriana verrà sconvolta, facendo nascere in lei sospetti e manie nei confronti di tutte le persone che la circondano.
Il regista turco ha scelto bene i suoi interpreti. Giovanna Mezzogiorno conferma di essere una buona attrice, interpretando un personaggio profondamente triste. Idem per Alessandro Borghi, il quale riesce bene nella sua interpretazione. Isabella Ferrari, presente già in altre pellicole del regista, fa la sua affascinante figura, ma la sua recitazione è ridotta al minimo, quasi assente. Sostanzialmente, i due attori che emergono dalla scena sono Anna Bonaiuto (Adele) e Peppe Barra (Pasquale): entrambi riescono a cambiare il tono della recitazione dalla commedia al dramma senza stonare, scivolando naturalmente nel cambio del registro. I due personaggi dimostrano la loro ottima capacità attoriale, dettata dall’esperienza del tempo e da una lunga gavetta maturata tra il teatro ed il cinema.
In questo suo ultimo film, il regista punta a realizzare un thriller che, volutamente, non giunge ad una chiara conclusione: la trama è incentrata sui dubbi della vicenda e sulle domande della protagonista; il tutto è ambientato in una Napoli che oscilla tra la realtà dei giorni nostri, il buio della delinquenza e la magia di una cultura popolare sommersa. Özpetek, sapendo di non essere un regista di thriller, decide di giocare sulle assenze, sullo sfuggente significato che possiamo dare a ciò che vediamo. Vedendo il film, possiamo intuire lo svolgimento delle vicende e la costruzione della verità. Possiamo intuirla, ma non raggiungerla del tutto: il regista non vuole che sia afferrato un senso chiaro del suo racconto. Lo vela, lo nasconde, come il famoso “Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino che appare verso la fine del film. Ciò che vediamo, ciò che capiamo è solamente un’apparenza, non è una certezza. Chi è Adriana? Cosa è accaduto durante questa storia? Chi ha ucciso Andrea? Ciò che possiamo intuire, è la verità o è solo frutto di immaginazione e fraintendimento? Queste domande che rimangono sono la vera essenza della vicenda. Sono proprio questi “dubbi” a salvare in parte l’opera: l’autore, per evitare di cadere nel cliché di molti classici thriller già fatti, ha deciso di lasciare sospeso il pubblico, tra il sospetto e la verità. Ma c’è qualcosa di non riuscito in questo lavoro: quel tono particolare e caratteristico che Özpetek è riuscito ad evocare in altre sue opere, qui non è apparso. Il tentativo di dare a questo genere di film un taglio inusuale, più “evanescente”, tipico del cinema dell’autore, in questo caso non è stato sufficiente a salvare completamente l’opera da una trama non pienamente originale, con molte idee già viste in altri lavori. Il regista turco è riuscito a produrre un film non eccezionale, non grandioso, ma neanche inguardabile: un’opera sospesa tra il buono e il non riuscito.

Silvio Gobbi

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cinema 2018-01-05
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