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Severino Severini e il suo ristorante a Roma
Severino Severini e il suo ristorante a Roma

Quel “Piatto del Buon Ricordo”: Severino Severini

Girovagando tra le bancarelle di un mercatino degli oggetti di altri tempi, ieri la mia attenzione è stata rapita da un “Piatto del Buon Ricordo”*.

Strana combinazione, perché quella stoviglia dipinta a Vietri ha avuto la funzione proustiana di riportarmi alla memoria una curiosa storia che mio padre ricordava quando incontravamo un simpatico personaggio per le vie di Sanseverino. Faccia rotonda con basettone bianche, occhiali tondeggianti, di statura decisamente bassa e con sorriso disarmante; il tutto, unito a un berretto vagamente anni ’30, ne faceva una figura simpatica e impossibile da non notare. Si chiamava Severino Severini e – raccontava mio padre – dopo aver condotto per anni un celebre ristorante a Roma, alla pensione aveva deciso di stabilirsi nella nostra città: “perché uno che si chiama Severino Severini non può altro che fare così”. Questa bizzarra storia, nata da un doppio legame onomastico, mi aveva sempre divertito e reso immediatamente empatica la figura che da sempre avevo osservato per il suo fare originalissimo.

Dunque, portato a casa per pochi euro questo piatto, ho deciso di investigare su questo personaggio, così singolarmente legato alla nostra città. Ho scoperto che Severino, scomparso esattamente 10 anni fa (il 20 gennaio 2012), è stato uno dei grandi ristoratori della Roma degli anni ’60-’80. Dopo aver lasciato da adolescente nel 1939 la nativa Staffolo – in compagnia di Italia Litri, coetanea che sarebbe poi diventata anche sua consorte – aveva iniziato a lavorare in una fiaschetteria della periferia romana. Nel dopoguerra, forte dell’esperienza acquisita e con Italia ai fornelli, ebbe la lungimiranza di aprire un proprio ristorante nella nuovamente gaudente Roma, prima in Piazza Ragusa, quindi in via Acaia e successivamente a Piazza Zama. È così che negli anni del boom il ristorante “da Severino” divenne uno dei migliori ristoranti della Capitale, tanto da ottenere, primo fra i locali fuori dalle mura, l’ambitissima “Stella Michelin”. Nel maggio 1970 il mensile “La Cucina Italiana” dedicò al suo locale una lunga recensione, che le cronache del tempo narrano essere frequentato dalle personalità più in vista della Roma di quegli anni. Tra i moltissimi assidui, oltre a politici e personalità del jet set, vi furono molte star del cinema tra cui: Gary Cooper, Grace Kelly, Marlon Brando, Sophia Loren, Gregory Peck, Vittorio De Sica.

Severino e Italia avevano saputo coniugare la memoria della cucina tipica marchigiana, fondendola con quella tradizionale romana; i loro piatti forti erano gli immancabili vincisgrassi, le zite gratinate al tartufo, le scaloppine alla verbena, i celebri stuzzichini Severino e l’abbacchio alla romana. Inoltre, forse per l’imprinting avuto a Staffolo, terra di eccellente verdicchio, Severino fu un grande esperto di vini, capacità che lo pose per lungo tempo al vertice dell’Associazione Italiana Sommelier della Capitale e del Lazio. Ciò lo portò a stringere una profonda amicizia con uno dei pionieri dell’enogastronomia mondiale e guru riconosciuto dell’enologia: Luigi Veronelli. In un articolo su “Bibenda”, rivista ufficiale AIS, Franco Maria Ricci, nell’annunciare la morte di Severino, lo ricorda così: “Lo aveva nel sangue, il successo. Lo aveva nella testa. Severino Severini era stato, con il suo Ristorante a Piazza Zama, l’antesignano della grande cucina romana abbinata all’eleganza nei piatti, nell’ambiente e nel bicchiere”. Daniele Cernilli, giornalista enogastronomo e fondatore della rivista “Gambero Rosso”, fu tenuto a battesimo nel campo della sommellerie proprio da Severino e non perde occasione per ricordarne la sua figura e il suo ristorante nei propri articoli.

Che incontro fortuito questo piatto del ricordo! Mi ha permesso di scoprire un grande e simpatico personaggio che tante volte ho visto passeggiare nella nostra piazza, di ricordare mio padre che ne coltivava la stima e di conoscere un pezzo di storia recente di quella Roma, che, con oltre trecentomila abitanti marchigiani, è senza dubbio “la città più grande delle Marche”.

Luca Maria Cristini

* L’associazione dei “Ristoranti del Buon Ricordo” prevede che ogni locale che aderisce debba avere in lista una specialità del Buon Ricordo, cioè una portata esemplare del territorio in cui opera. Chi gusta quella specialità riceve in omaggio un piatto in ceramica che ricorda il ristorante e la specialità stessa.

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