Nel 2003, nel terzo film della saga di Matrix, Thomas Anderson “Neo”, sconfigge il suo grande nemico, l’agente Smith, inaugurando una nuova era nel rapporto tra umani e macchine, una sorta di tregua temporanea tra i robot che hanno schiavizzato l’umanità e gli uomini che vogliono vivere liberamente. Dopo il conflitto finale, tutti credono che Neo e Trinity, la sua fondamentale compagna, siano morti, ma non è così, i due sono ancora vivi: sono stati letteralmente ricostruiti dai robot e reinseriti, di nuovo, nella realtà virtuale di Matrix. L’umanità non è ancora libera e coloro che combattono contro il dominio delle macchine, vogliono salvare nuovamente Neo dalla sua prigione mentale, scollegarlo da Matrix e farlo tornare alla realtà per lottare per la vera “liberazione”.
Matrix Resurrections racconta il tormentato ritorno di Neo all’azione, la difficile presa di coscienza (ancora una volta) della verità da parte di Thomas Anderson, famoso video game editor di un’importante azienda, uomo dalla mente turbata, il quale non sa mai se ciò che accade sia reale o frutto della fantasia. La regista Lana Wachowski torna da sola alla regia del quarto capitolo (Lilly, la sorella, compare solo nella collaborazione al soggetto), e punta alle citazioni, alla nostalgia, inserendo qualche interessante espediente all’interno di una densa trama dalla struttura nota. Resuscitare un’opera terminata molti anni fa non è un’operazione semplice, e Wachowski punta ad un mix di azione, fantascienza, eterno conflitto tra destino e libero arbitrio, serietà e parodia, ironia ed autoironia. Inoltre, in questa ultima fatica, il legame tra Neo e Trinity vuole essere ancora più enfatizzato, solidificato, donando alla donna un ruolo ancor più speciale rispetto ai precedenti lavori (dove, ricordiamo, già dimostrava la sua grande forza nel dare a Neo la spinta necessaria per compiere il suo destino).
Matrix Resurrections, ultimo viaggio sulle orme del Bianconiglio, oscilla tra i ricordi delle passate opere e le novità, sempre lungo il solco della distopia e dei dialoghi fitti, attraversando una trama con delle significative forzature da digerire e qualche personaggio evitabile: un prodotto capace di intrattenere, ma tale da dividere i fan più appassionati tra chi lo apprezzerà nella totalità (anche l’inaspettato sarcasmo ed i discorsi metacinematrografici) e chi, invece, rimarrà con molti dubbi e perplessità dopo aver “ingerito” questa ultima pillola rossa.
Silvio Gobbi