Dopo aver lanciato l’iniziativa lo scorso anno e avviato i lavori a fine luglio, Emanuele Ticà ha completato la sua opera: il monumento alla Resistenza, in viale Mazzini, è stato restaurato e ora fa bella mostra di sé, anche nel ricordo di Arnaldo Bellabarba, che nel ’65 ideò l’opera. “Ce l’abbiamo fatta – dice Emanuele Ticà -, l’obiettivo è stato raggiunto e i nostri buoni propositi sono diventati realtà. Grazie a tutti coloro che hanno partecipato alla raccolta fondi, allo Spi, all’Anpi nazionale e provinciale, alla Coop Adriatica, al Comune di San Severino, Alla Pro loco e soprattutto a chi ha realizzato questo sogno con me: Giulia Casoni, GPaint, Arnaldo Beltutti, Marco Armoni, Monica A. Quinzi Giada e Il Racano”.
- Il monumento alla Resistenza eretto a venti anni dalla Liberazione dell’Italia nel 1965 e di recente restaurato
- Il monumeto restaurato
- Il ricordo
- I sostenitori del restauro conservativo
- L’illuminazione
- L’illuminazione
Ecco, di seguito, la bellissima riflessione che Emanuele Ticà pubblicò nel dicembre 2020.
MastroT e i buoni propositi per il 2021
È notte, l’albero di Natale scintilla nella stanza buia e io, davanti allo schermo luminoso del pc, mi ritrovo a scrivere sull’onda dalle emozioni suscitate da un’opera a me molto cara ma scivolata nell’indifferenza e finita nel dimenticatoio collettivo. Un’opera dal grande valore simbolico che merita e necessita di essere riportata alla luce; così alle porte dell’anno venturo, sul finire di quest’anno sciagurato, mi riprometto che il 2021 sarà determinante per il suo salvataggio. Sono anni che ci penso. All’incirca una decina, diciamo da quando la mia coscienza si è fatta più matura.
A San Severino Marche c’è un monumento alla Resistenza. È un’opera d’arte di Arnaldo Bellabarba, un artista settempedano futurista. Un monumento imponente, ben ancorato al terreno, realizzato nel 1965 per commemorare il 20° anniversario della Liberazione. Sono passati tanti anni dall’ultima manutenzione e sembra quasi che il suo degrado viaggi parallelamente a quello della nostra società, ferita e stanca, in balia degli eventi e incapace di reagire. Malgrado lo sviluppo della tecnologia, nonostante la vasta e precisa memoria storica, la cultura e gli innumerevoli strumenti che abbiamo a disposizione, siamo ancora vittime di noi stessi e del nostro ego, siamo prigionieri di/in una zona di comfort vuota e fredda.
Così succede che – nonostante creda di avere mani ed esperienza per poterlo rimettere a posto, malgrado desideri ripristinare la limpidezza del messaggio di cui il monumento è custode – non l’abbia mai fatto. Ho aspettato sempre qualcosa, per esempio un finanziamento doveroso e necessario. Ho atteso l’impegno di qualcun altro o un altro motivo sufficientemente valido per provare a restaurarlo. Rinchiuso nel mio cantuccio senza campanello, senza indirizzo e senza pareti.
Penso che sia così che vadano le cose oggi: manca sempre qualcosa per essere pronti a fare e a dare. Manca la volontà, mancano i valori, manca il senso della comunità. E quando ci sembra di esserlo, un terremoto o un virus o chissà cos’altro ci fornisce il pretesto per rimandare. La parola “resistenza” è sbiadita, quasi scomparsa dai vocabolari delle nostre librerie.
Il monumento è, sì, il simbolo del sacrificio umano e un tributo al movimento della Resistenza, a coloro che hanno lottato contro la guerra e le ingiustizie, ma per me assume anche un significato più ampio, è il monito a combattere – costi quel che costi – ogni forma di egoismo, individualismo e avidità del mondo contemporaneo per avere una società più equa.
Oggi sono passato davanti al monumento, ci passo spesso a dire il vero, ci passano in molti. Ho letto di nuovo la targa di marmo in cui sono impressi i nomi dei partigiani caduti durante la seconda guerra mondiale. I loro cognomi sono familiari, li sentivo a scuola durante l’appello mattutino o li storpiavo per chiamare affettuosamente i miei compagni di giochi. I ricordi si sovrappongono alle scritte della targa e mi confondono, ho come la sensazione di conoscere quei giovani combattenti, mi sembra che siano tra noi, negli occhi di chi ha parte del loro Dna.
Erano persone comuni, senza Facebook e senza cellulare, sconnesse da chiunque fosse stato più lontano di dieci chilometri; eppure sono riuscite a organizzarsi e battersi per un’Italia unita e libera. Hanno rinunciato alla loro libertà, sacrificato la giovinezza e perso la vita per garantirne una degna alle generazioni future, a figli e nipoti che non avrebbero mai conosciuto. Ci hanno lasciato in eredità la libertà, un bene immateriale inestimabile che dovremmo custodire con riconoscenza e determinazione, consapevoli della sua importanza.
Quest’anno siamo stati rintanati per diversi mesi. So sulla mia pelle quanto è stato difficile accettare questa privazione di libertà, tuttavia sul divano è tutto un po’ più facile, niente a che vedere con l’agonia dei partigiani, nonostante troppo spesso siamo ricorsi a termini bellici per descrivere la nostra situazione pandemica. Da molto lontano, infinitamente lontano o forse per niente, ho potuto immaginare quanta rabbia, quanta frustrazione e quanta paura questi uomini e donne possano aver provato o avuto.
Il monumento alla Resistenza è un’opera semplice ed essenziale. È composta da un insieme compatto e solidale di traverse di legno di quercia, alleggerito dalle fessure create dagli interstizi. Si tratta di una maestosa macchina del tempo da cui sbirciare la storia per ricordare gli orrori e gli errori, un muro ligneo evocativo alla base del nostro presente e a sostegno del nostro futuro.
Davanti al monumento stanno finendo i lavori del nuovo ITIS, un bell’edificio, grande e moderno. In senso metaforico, né la vecchia né la nuova costruzione si reggono sulle solide fondamenta in cemento armato ma poggiano sulla resistenza e sui sacrifici di quella meglio gioventù.
Negli anni a venire, tanti adolescenti passeggeranno lungo viale Mazzini. Mi piacerebbe che, invece che pisciarci contro, si soffermassero a riflettere sulla bellezza e sulla semplicità dell’opera di Bellabarba, sul suo significato intrinseco.
Per questo, nell’anno venti ventuno, io questo impegno me lo voglio prendere, senza riluttanza, senza se e senza ma. Voglio alzare la mano e fare un passo avanti perché ho braccia e gambe per poterlo fare. Mi piacerebbe restituire al monumento e all’opera la dignità e la luce che merita. Perché ora più che mai abbiamo bisogno di simboli e di esempi, di ricordi e di immagini, di storia e arte; abbiamo bisogno di una luce sempre accesa che illumini il nostro passato per guidarci nel presente e guardare con fiducia e speranza al futuro. Abbiamo bisogno di superare l’altra parte del giorno.
BUON ANNO DALLA MASTRO T!!!