Il centro delle Marche?
Non voglio intervenire sulla questione del Fiera Hospital per il quale persone autorevoli hanno espresso il loro parere con argomentazioni tecniche. Però questa vicenda mi dà l’occasione di osservare quanto affermato dai nostri amministratori regionali al momento in cui hanno comunicato l’intenzione di realizzare questo centro emergenziale per la terapia intensiva. Si dice che nei momenti d’emergenza si perde il controllo diplomatico e anche il politically correct; credo che sia proprio così. In questi frangenti forse esce fuori immediato il proprio pensiero. Ho infatti sentito il presidente Ceriscioli affermare che si era stabilito di collocare questa struttura sanitaria “al centro della Regione, quindi nel capoluogo Ancona”. So che si tratta di un docente di matematica, materia a cui sempre si associa per affinità la geometria, dunque di errore nel definire il centro geometrico di un’area non si può trattare. Si tratta proprio di un errore di concetto, un errore di lettura della consistenza storica, culturale della regione. Non tutta colpa sua, perché capisco che si è formato in una scuola (soprattutto politica) nella quale queste cose non sono state trasmesse; evidentemente non gli hanno neanche fatto venire la voglia di approfondirle.
Quasi sessant’anni fa, dei giovani intellettuali cresciuti secondo gli insegnamenti di La Pira, Don Milani e Giovanni XXIII, avevano fondato una rivista che si chiamava programmaticamente Marche ’70. Vi si è tenuto per qualche anno un dibattito sul futuro della nostra regione, cercando di leggerne le criticità sotto il profilo territoriale e sociale, in un mondo che vedeva tramontare il modello agricolo tradizionale in favore di quello metalmezzadrile. Tra le problematiche individuate c’era in primo luogo la conseguenza dello sviluppo industriale, visto allora come modello a cui tendere. Questo avrebbe favorito lo spopolamento dell’entroterra a favore della fascia costiera, già infrastrutturata e quindi luogo (qualche amministratore di oggi direbbe location) ideale per l’insediamento di nuove attività produttive di massa. Erano quelli gli anni in cui si pianificava la costruzione dell’Autostrada del Levante e si cominciavano a delineare quelli che sarebbero stati gli indirizzi di pianificazione territoriale della nascente Regione Marche.
Ebbene voglio qui riportare alcune frasi di un articolo del 1967, intitolato “Colmare gli squilibri per il decollo delle Marche”. Bastano poche righe per rendersi conto di quale fosse il pericolo che l’autore, mio padre Luigi, aveva intravisto in prospettiva: “Una imponderabile forza eversiva infatti, rispetto all’equilibrio fino a pochi anni fa esistente nella nostra regione, sta operando, con velocità sorda e inesorabile, il sovvertimento e la distruzione di quei valori di civiltà che la storia ci ha tramandato. Con il risultato prevedibile di una regione ridotta ad un biscione megalopolico, costretto sul bagnasciuga con alle spalle i ruderi delle città dei Montefeltro e degli Este, dei Varano e dei Malatesta, popolata di vecchi, male assistiti dagli Enti Comunali e in attesa del cimitero. Un biscione di cemento sul bagnasciuga. Può dispiacere questa catastrofica previsione, ma a guardare senza bende agli occhi, le Marche si stanno trasformando in una metropoli lineare lunga cento chilometri addossata alla spiaggia, erosa sempre più dal mare”.
Questi giovani pianificatori, che rispondevano ai nomi di Paolo Castelli, Luigi Cristini, Guido Bianchini, Adriano Ciaffi, usando nella comunicazione toni forse un po’ apocalittici, avevano focalizzato il pericolo e proponevano, oltre a un nuovo modello istituzionale di aggregazione degli enti locali (di cui se il Direttore vorrà parlerò in un prossimo intervento), elementi preventivi di riequilibrio infrastrutturale come la costruzione dell’autostrada arretrata di alcuni chilometri rispetto alla linea di costa e la realizzazione di una strada Pedemontana da nord a sud della regione, in previsione un quadro di più equilibrato e armonioso sviluppo delle Marche. Tutto questo non si è realizzato per diversi motivi, per lo più politici, e oggi è ormai chiaro come l’ultima generazione dei nostri amministratori ignorino persino l’esistenza in vita di queste povere Marche dell’entroterra. Spopolate e provate da una serie di cataclismi negli ultimi decenni, elettoralmente non hanno più peso elettorale e dunque, divise come sono, oggi non esistono più. La regione Marche ormai è una striscia sulla costa. Dovremo rassegnarci?
Luca Maria Cristini