Pubblichiamo una riflessione dell’avvocato Pietro Tapanelli, vice segretario del Comune di San Severino, che interviene in qualità di sindaco di Sefro.
“Lei sa cosa è il congiunto?”. Risposta: “Dice a me?”. Incalza l’interessato: “Sì, proprio a lei. Lei sa chi è il congiunto?”. Risposta: “Carnera”.
Mi permetto di parafrasare Fantozzi che, interrogato dal Visconte Cobram, alla domanda “Alla Milano-Sanremo del 1931, è arrivato terzo Piemontesi, secondo Guerra… e primo?”, rispose: “Primo Carnera”.
Non è uno scherzo: la situazione odierna è questa. Noi sindaci, quando ci chiedono lumi sulle attività consentite, assumiamo questa linea: lingua felpata, imbarazzo e risposta arricchita da un “così sembra”. Il 4 maggio è entrata in vigore la fase 2 e tra conferenze stampa, Faq, circolari, ordinanze, decreti e interpretazioni varie, nessuno sa cosa è certamente consentito.
Difficoltà di gestione a parte, comprensibili, sia chiaro, per quale arcano motivo ad ogni decreto del Governo deve necessariamente succedere un profluvio di provvedimenti decentrati? C’è un’emergenza sanitaria? Certo. Sono stati dati poteri gestionali, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, alla Protezione civile? Sì. È possibile avere un solo centro di comando che assuma il ruolo di decisore e che detti la linea da seguire? Magari. Invece no. Da un decreto legge, siamo arrivati esponenzialmente a non so quanti provvedimenti derivati e conseguenti che, seppur nella buona fede di tutti, portano oggi a una confusione generalizzata sull’intero territorio nazionale.
C’è bisogno di una linea comune e che vengano bloccati i poteri decentrati, almeno quando ci sono emergenze sanitarie nazionali come queste. Non è mica un peccato capitale (o costituzionale) attribuire competenze uniche a chi, in una democrazia rappresentativa di natura parlamentare, occupa il ruolo di capo dell’esecutivo. Questo non significa abdicare alla democrazia: nel nostro ordinamento esistono anticorpi che scongiurano derive autoritarie. Concedere poteri a tutti, in queste circostanze, non serve a garantire voci di dissenso democratico. Non stiamo parlando di libertà di manifestazione del pensiero, ma di responsabilità gestionali: il dovere di prendere decisioni chiare e univoche, che diano sicurezza, certezza e stabilità.
Non è un esercizio di stile né una dissertazione di diritto. Dietro a una disposizione non autorevole, che nell’italianità più paciosa porta a numerosi rivoli interpretativi, ci sono attività imprenditoriali. Ci sono posti di lavoro. Ci sono persone, famiglie e stipendi. Lasciamo perdere le passeggiate in riva alla spiaggia (dove tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, tanto è surreale la situazione), ma se dico sì all’asporto, arriva il niet al caffè. Anzi, se ci metti la brioche allora e un sì. Perché? Semplice. È consentito in base alla definizione di somministrazione di alimenti e bevande dell’art. 34 quater, comma 7 duodecies, sezione quarta, sub art. 45 del DL 445 del regio decreto del 1899 del quarto satellite, galassia 94, di Plutone. In più, tra poco apriranno i ristoranti, ma solo con il plexiglass. Poi però c’è la Faq che chiarisce (sic!) e sentenzia il diniego: “no al plexiglass, sì a Valsoia”.
Finché le cose vanno bene, il facite ammuina all’italiana fa anche sorridere e ci rende popolari in tutto il mondo, ma quando mina le fondamenta della nostra economia, la piccola e media impresa, allora non diverte più. La gestione frammentata e dilettantesca, se non addirittura deviata dalla sempiterna campagna elettorale, dato che in Italia si vota ogni sei mesi, non è più tollerabile. Le nostre realtà imprenditoriali, professionali e commerciali devono poter avere, in situazioni emergenziali, certezze. Assolute? No, non esistono. Ma serie… certamente sì.
Pietro Tapanelli – Sindaco di Sefro