Home | C’era una volta San Severino… | Storia dello spettacolo: il cinema arriva nel teatro Feronia
Euro Net San Severino Marche
Cinématographe Lumière
Cinématographe Lumière

Storia dello spettacolo: il cinema arriva nel teatro Feronia

di Alberto Pellegrino

Il cinema nasce alla fine dell’Ottocento quando i Fratelli Lumière brevettano la loro invenzione il 13 febbraio 1895, ma bisogna arrivare al 28 dicembre 1895 perché si abbia a Parigi la prima proiezione cinematografica in una sala del Gran Cafè. Da quel momento gli spettacoli cinematografici si diffondono in Europa e in tutto il mondo in modo capillare, conquistando una rapida popolarità, diventando una forma di comunicazione così diffusa da non trovare riscontro in nessuno degli altri mass media.

Il cinema arriva in Italia e nelle Marche

Il cinema arriva in Italia il 29 marzo 1896, quando si ha la prima proiezione nel Circolo Fotografico di Milano (“Sono quadri animati, riproduzioni vive di scene svariate quali le possono vedere e seguire i nostri occhi…è la fotografia che si sostituisce all’occhio umano ripetendone le percezioni successive e porgendogliele poi nuovamente su tela bianca mediante la proiezione” (Vittorio Calcina,Corriere della Sera, 30/31 marzo 1896). Ben presto questa nuova forma di spettacolo comincia a circolare in Italia nelle grandi città e nei piccoli centri: i film sono proiettati nei caffè-concerto, nei teatri di varietà, nei teatri condominiali, nelle piazze, nelle fiere, in luoghi occasionali, dove arrivano delle compagnie cinematografiche ambulanti appositamente attrezzate.
Questi primi pionieri saranno ben presto sostituiti da esercenti che gestiscono in proprio le loro sale cinematografiche. La diffusione del cinema “ha un andamento pendolare, dalla città alla campagna, per tornare di nuovo alla città dopo una decina d’anni ad assumere definitivamente una propria fisionomia e una propria ben distinta autonomia rispetto alle altre forme di spettacolo con cui ha coabitato a lungo come curiosità o forma di rappresentazione subalterna” (G. P. Brunetta). Del resto il cinema non aveva alle spalle la tradizione millenaria di altre forme più nobili (teatro, melodramma, opera lirica), tanto che lo stesso Lumière non crede nel futuro della sua invenzione: quando Méliès vuole acquistare un apparecchio di proiezione, gli dice: “Giovanotto, credete a me, buttate via il vostro denaro. Il cinematografo è una curiosità, ma non ha alcun valore scientifico e commerciale”.
Nelle Marche il cinema debutta in Ancona l’11 ottobre 1896 con la Compagnia Anglo-Italiana che proietta Esperimenti di proiezione cinematografica nel “Caffè Centrale” lungo il Corso Vittorio Emanuele. Lo spettacolo è presentato come una meraviglia che ha suscitato entusiasmo e interesse nelle principali città europee: “Ogni scena rappresenta con illusione perfetta, lo svolgersi di un’azione viva, talvolta grandiosa, ad esempio L’arrivo del treno, mediante un rapidissimo succedersi, nel breve termine di un minuto, di 900 fotografie”. A Macerata il cinema debutta il 1° dicembre 1896 nella Società Filarmonico-Drammatica con la Compagnia Continental Phonograph Kinetoscope, il 5/6 dicembre con il Grande Cinematografo Lumière che arriva nel Teatro Lauro Rossi, mentre il 19 dicembre 1896 il cinema fa il suo ingresso nel Teatro La Nuova Fenice di Osimo.

Il cinema debutta nel Teatro Feronia

San Severino è la quarta città delle Marche dove il cinema debutta nel Teatro Feronia il 26 dicembre 1896 con una proiezione cinematografica della Compagnia Anglo-Italiana. Si tratta di un avvenimento che suscita una notevole curiosità, perché allo spettacolo assistono 375 spettatori, che però scendono a 195 la sera successiva a causa della delusione provata per quelle immagini in movimento tremolanti e appannate. Il bigliettaio del teatro, Annibale Casarini, nelle sue “Memorie”, annota: “Le persone, d’ambo sesso, che hanno veduto questa fotografia istantanea la prima volta, è cosa certa che non gli ritorna il desiderio di vederla per la seconda volta, sia per il suo poco effetto che produce nel pubblico questa fotografia vivente”. Del resto per questa “fotografia vivente” non si usa ancora il termine “cinematografo”, quindi non si tratta solo della rozzezza tecnica del mezzo ma anche della scarsa comprensione del fenomeno da parte del pubblico. Il fenomeno incontra la diffidenza dell’aristocrazia, della borghesia e degli intellettuali che giudicano questa forma di spettacolo volgare e più adatta per gente incolta. Quest’analisi trova conferma anche a San Severino, poiché i 509 spettatori, presenti nelle due serate, 375 (73,67%) appartengono ai ceti popolari, 134 ai ceti medio-alti.
Una nuova proiezione si ha il 7/8 marzo 1897 con esiti addirittura disastrosi, perché la prima sera vi sono 65 spettatori, mentre nella seconda sera la proiezione è annullata per mancanza di pubblico, anche se Casarini dice che “questa volta la fotografia animata è molto più perfezionata di quella esposta in queste scene” nel precedente spettacolo. Il 16/17 luglio 1898 arriva nel Teatro Feronia la Compagnia Cinematografo Lumière, ma la diffidenza del pubblico è ancora forte, tanto che la prima sera vi sono solo 115 spettatori; il giorno dopo gli spettatori salgono a 239, segno che si è diffusa la notizia sulla buona qualità dello spettacolo. Casarini, che per la prima volta usa la parola “cinematografo”, dice che la qualità delle immagini è un po’ migliorata ma si lamenta perché il pubblico negli intervalli ha fatto “un baccano assordante con fischi e urli”. Dopo diversi anni, giunge nel Teatro Feronia la compagnia Real Cinematografo Lumière che fa tre proiezioni il 29/30 giugno e il 1° luglio 1903 con un’affluenza di 653 spettatori (123 la prima serata, 244 la seconda, 286 la terza), segno che la diffidenza del pubblico verso il cinema va progressivamente scemando soprattutto presso i ceti popolari. Casarini questa volta scrive che “il nuovissimo modello è di molto superiore a quelli fin qui esposti in queste scene, sia perché le figure colorate esposte risultavano più di quelle vedute negli altri cinematografi, per l’esattezza della proiezione della luce e altro”.
Nei primi anni del Novecento sta cambiando il clima culturale cittadino e il cinema inizia a far breccia, a creare nuovi interessi, ad aprire nuovi orizzonti. Il pubblico comincia a conoscere avvenimenti, persone e città che mai avrebbe potuto vedere senza muoversi da San Severino. L’arrivo il 15/16/18 ottobre 1904 nel Teatro Feronia del Cinematograph Riesen, che si definisce “il più grande, il più perfetto che viaggia in Italia”, è accolto con soddisfazione da Casarini, il quale annota che si è trattato di uno spettacolo diverso dagli altri fin qui conosciuti e che ha ottenuto il plauso generale con la presenza di ben 943 spettatori (212 la prima sera; 506 nella serata festiva, 225 la terza). Nel 1906 è presente al Teatro Feronia il Cinematografo Omega che dà tre rappresentazioni dal 23 al 25 settembre, mentre dall’11 al 21 ottobre il Cinematografo Parlante fa cinque proiezioni.
L’ultima notizia di uno spettacolo cinematografico dato nel Teatro Feronia è dell’11 settembre 1910, quando il Cinema Excelsior presenta un “grandioso spettacolo con l’accompagnamento del nuovo piano Falstaff a motore elettrico”. Il programma comprende anche il film L’infanzia di Oliver Twist tratto dal celebre romanzo Oliver Twist (1838/39) di Charles Dickens; sono inoltre proiettati i film La Signorina Lamafina (“un interessante dramma a colori”), la comica La lettera di rottura e il documentario Mousmees in visita, “un vero gioiello di arte in miniatura e cinematografia cromatica”.

Le prime sale cinematografiche a San Severino

Agli inizi del Novecento la situazione è migliorata, perché il cinema ha fatto notevoli progressi sul piano tecnologico, nei contenuti narrativi e nelle invenzioni di un nuovo codice linguistico, per cui si comincia a registrare l’apertura di nuove sale appositamente attrezzate per le proiezioni cinematografiche, nelle quali affluisce un pubblico soprattutto di estrazione popolare, anche se sono in particolare gli intellettuali a guardare con interesse a questo nuovo mezzo di comunicazione di massa. Si aprono anche a San Severino Marche delle sale cinematografiche permanenti, anche se il Teatro Feronia continua a ospitare proiezioni di film. Il primo impianto di cui si ha notizia è la Sala cinematografica di Via del Forno, della quale ci è pervenuta notizia attraverso un manifesto del 23 febbraio 1911, nel quale si annuncia la proiezione di un film appena realizzato in quello stesso anno e intitolato L’inferno. Visioni della Divina Commedia di Dante Alighieri, prodotto dalla Helios Film. La pellicola è formata da 22 quadri per la durata di 15 minuti con la regia di Giuseppe Bernardi e Arturo Busnengo. Lo stesso Bernardi interpreta il personaggio di Dante, mentre Armando Novi è Virgilio. La prima cantica dantesca è presentata attraverso gli episodi principali: l’ingresso del poeta nella selva oscura, la visione di Beatrice, la traversata dell’Acheronte, Paolo e Francesca, Minosse, Farinata degli Uberti, gli usurai sotto la pioggia di fuoco, Ulisse, Pier della Vigna, il Conte Ugolino e Lucifero che sbrana Giuda, Dante e Virgilio che escono dall’oscuro regno dei dannati e tornano a rivedere il cielo. Il film è reso interessante da una serie di effetti speciali tra i quali spiccano il volo dei lussuriosi e il gigantismo di Minosse. In alcune scene si avverte una certa sensualità quando si sfrutta la nudità dei dannati o il seno scoperto di Francesca da Rimini. Nelle scenografie risulta evidente l’influsso esercitato dalle illustrazioni di Gustavo Doré. Il programma è completato dal documentario Sofia usi e costumi, da due film comici: Il Medico pietoso fa la piaga cancerosa e Iolicoeur affittacamere.
La prima sala cinematografica all’altezza dei tempi si deve all’iniziativa di Attilio Acerbi detto Titì”, il quale arrivato a San Severino Marche da Roma nel 1920 apre il Cinema Moderno situato “nella via che dalla piazza porta alla stazione”, cioè Via Bartolomeo Eustachio n.12, dove oggi si trova il Bar Dignani. Nella sala sopra il boccascena era collocata la scritta Ombre non vane dettata da Giulio Cruciani (1875-1948), un intellettuale appassionato cultore di lettere classiche e di fotografia. La sala cinematografica, che aveva accanto un negozio di generi alimentari gestito dallo stesso Acerbi, rimane in funzione fino al 1931, quando il proprietario decide di fare ritorno a Roma. Questa sala cinematografica ha goduto a San Severino di grande popolarità, tanto che in città nel corso di quegli anni per dire “andiamo al cinema” si diceva “andiamo da Titì”. Il professor Giorgio Zampa (San Severino Marche 1921-2008) letterato, critico letterario e teatrale, traduttore e docente di letteratura tedesca, fa riaffiorare alla memoria alcuni ricordi legati all’infanzia per ricordare le sue prime esperienze cinematografiche proprio nel salone di Titì: “La sala non era adattata o ricavata da un teatro, da un oratorio o altro, ma costruita, decorata e arredata per un fine, con platea, galleria, palcoscenico per reggere e incorniciare lo schermo…Per celebrare la sua origine o educazione romana, il proprietario aveva collocato in platea, addossata al palco, una grande lupa con i gemelli, in gesso coperto di vernice color bronzo. Accanto alla lupa, un piano opaco e scortecciato ripeteva tre motivi, a seconda delle situazioni del film. Per far sapere alla cittadina che lo spettacolo era in corso, si metteva in azione una suoneria sopra l’ingresso…I miei andavano in galleria, “posti distinti”, perché la platea era dominata da giovanotti ruminanti fave e noccioline, sempre pronti a venire alle mani, capaci di sibili laceranti e di urla orrende. Il film non riusciva a interessarmi neppure se apparivano Maciste o Sigfrido…Le “comiche”, capaci di tenermi fermo sulla poltrona, duravano pochi minuti, all’inizio dello spettacolo…Ero incapace di concentrarmi su un’azione, di seguire una trama: il primo film che mi avvinse, fino allo spasimo, ponendomi in uno stato di esaltazione che durò giorni, fu Il ladro di Bagdad con Douglas Fairbanks” (G. Zampa, Considerazioni di un frequentatore di cinema. Da Titì agli ultimi riti, Il Giornale, 17 gennaio 1985).
In quegli anni si afferma nel mondo del cinema italiano Sestilio Morescati, nato a San Severino Marche nel 1879, presente nel cast di numerosi film come “cinematografista”, uno specialista che oggi chiameremmo ”direttore della fotografia”. Egli debutta nel 1913 con il film La strage degli innocenti per poi comparire tre anni dopo nel cast del film La crociata degli innocenti (1916) del regista Alberto Traversa con la sceneggiatura di Gabriele D’Annunzio. La filmografia di Morescati comprende anche i seguenti titoli: La Duchessa del Bal Tabaren (1917), Figli sperduti (1917), Strana (1917), Veneri, ninfe e sirene (1917) Amore che fa morire (1918), Un bacio nel sogno (1918), La signorina Demonio (1918), Saluto italico (1918), Occhi consacrati (1919), La danza dei gioielli (1920), La danzatrice ignota (1920), Tua, soltanto tua (1920), Le avventure di un viveur (1920), Il fantasma dei laghi (1921), Il fabbro del convento (1922).
Nel 1921, per i festeggiamenti del Bicentenario della morte di San Pacifico Divini, Morescati gira a San Severino un filmato, nel quale è ripresa la solenne processione in onore del Santo secondo queste sequenze: La partenza dal Santuario e l’arrivo in città; L’uscita dalla Cattedrale dopo la solenne Messa in canto; L’imponente processione di S. Pacifico; Il pubblico in festa sotto i Portici di Piazza V. Emanuele e in altri luoghi della città. L’ultima sequenza appare particolarmente interessante sotto il profilo antropologico e sociologico, perché rappresenta uno spaccato della società settempedana di quel tempo. Infatti, è possibile vedere una vasta rappresentanza del mondo contadino con gli uomini chiusi nei loro abiti un po’ stazzonati e le donne nei classici costumi tradizionali; una folta presenza di bambini appartenenti alla borghesia cittadina con gli abiti della festa; bambini delle classi popolari con addosso un vestiario molto più umile; i piccoli ospiti del Collegio degli Orfanelli con i loro abiti neri e accompagnati dai loro sacerdoti; il Corpo Filarmonico cittadino in servizio durante la solenne processione; giovani borghesi adolescenti in giacca e cravatta, pantaloncini e calzettoni fino al ginocchio; sotto l’affollato loggiato della piazza operai, artigiani e contadini, un ufficiale dell’esercito e soprattutto signore della borghesia medio-alta con i cappelli a larghe falde, eleganti borghesi in paglietta o il “panama”, camicia e cravatta, panciotto con vistose catene d’oro.

Centro Medico Blu Gallery