È con lo spettacolo “Qualcosa rimane” di Donald Margulies, che riprende, in questo 2016, la stagione teatrale del Feronia. Monica Guerritore – che torna a San Severino dopo cinque anni, nella duplice veste di attrice e regista – e Alice Spisa hanno dato prova di una straordinaria recitazione, protagoniste di un dramma intenso, ricco e incisivo.
La Guerritore interpreta Ruth Steiner, insegnante e scrittrice affermata, donna difficile e diretta; non ha mai avuto figli, dice nel testo, ma ha trascorso trentadue anni della sua vita allevando quelli degli altri aspettando che qualcuno la sorprendesse. Intuisce il talento della sua giovane allieva, e poi assistente, Lisa Morrison, alla quale si lega profondamente. A tal punto da raccontarle, e affidarle, una parte importante del suo passato: una complicata relazione con il poeta Delmore Schwartz, uno dei protagonisti della beat generation; una relazione fatta di momenti di assoluta genialità e altri di violenza, tristezza e umiliazione, ma che ha contribuito a farla diventare la donna e l’artista che è ora. Ruth non ha mai scritto di questa storia, perché certe cose della vita “non si toccano” e basta.
Lisa invece è giovane. Ha fretta: di scrivere, di pubblicare, di avere successo. A poco, o a nulla, valgono le raccomandazioni della sua maestra, della sua mentore: “dare tempo al tempo, è il tempo la scuola in cui impariamo”. Il tempo, Lisa non lo vuole perdere vivendo le proprie esperienze, arricchendo di senso la propria esistenza, preferisce scrivere subito, anche se questo significa tradire le confidenze dell’amica, violentare la vita di lei che si è fidata, svelando un segreto che era stato custodito così gelosamente dalla donna, semplicemente perché rappresentava il momento perfetto della sua vita.
Nella parte finale dello spettacolo, Ruth, in un fuori scena di grande effetto, avanza dalla platea verso il palco e coinvolge il pubblico nel suo dramma, mentre accusa Lisa, arrabbiata e addolorata: “se la tua vita non è abbastanza ricca, non scroccare un passaggio sulla mia”. In sottofondo, le indimenticabili ballate di Leonard Cohen, Lou Reed e di altri artisti del tempo enfatizzano i momenti di più alta tensione e rapiscono gli spettatori.
Oltre allo scontro generazionale, il testo propone spunti di riflessione più che mai attuali: il valore dell’insegnamento, la fiducia come base per le relazioni umane, il valore del tempo e dell’attesa.
“Saper aspettare” ci dice la regista, “è un modo per sfuggire alla superficialità dei nostri tempi: bisogna aspettare che la vita lavori dentro di noi, per potere poi elaborare le nostre esperienze e restituirle agli altri in forma personale e originale; altrimenti l’arte diventa un copia-incolla che non ha niente da offrire”.
Michela Ciciliani