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Le macerie della palazzina di Informatica dell'Itis

Post sisma: “Che cosa fare?”, ragioniamo insieme sul futuro

L’Appennino Camerte con la sua pagina “La Voce settempedana” da sempre ha ospitato e alimentato i dibattiti che hanno interessato le più rilevanti questioni sociali, economiche, politiche e culturali che nel tempo hanno toccato la città di San Severino Marche. Il 28 dicembre 1985 compariva un articolo dal titolo “Dove sorgerà ?”. La firma era di Dea, alias don Eugenio Angeloni, apprezzato per il suo stile sintetico ed essenziale nel trattare gli argomenti con lucidità e puntualità. Il breve editoriale iniziava così: “Quando, con felice intuizione, si prospetto’ l’idea di costruire nella nostra città un istituto industriale, scrissi «incautamente» una nota dal titolo «Dove sorgerà?» Fu quello uno dei momenti più felici della Voce settempedana: lo scritto per sé innocente nelle intenzioni, dimesso nella veste giornalistica, disinteressato sotto il profilo speculativo, suscitò un vespaio urbanistico, inaugurò una caccia frenetica al tesoro, accese una polemica densa di accuse che rimbalzavano da ogni lato e che si placarono soltanto quando fu posta la prima pietra dell’attuale sede, tantoché, meravigliato mi chiedevo che cosa avessi detto di tanto male. Le principali zone in discussione erano tre: quella adiacente alla scuola elementare, quella del rione Mazzini e, naturalmente, quella prescelta. Oggi, con minore fortuna giornalistica e con scarso interesse speculativo, si ripropone lo stesso interrogativo (in verità più teorico che pratico), «dove sorgerà l’albergo per gli anziani ?»…”.
Oggi possiamo dire che non è stato inutile proporre alla città, da parte di don Eugenio Angeloni, interrogativi che al tempo trovarono risposta nella scelta delle attuali sedi dell’Istituto tecnico industriale Divini in viale Mazzini e della Casa di riposo Lazzarelli in viale Eustachio.
Al momento, invece, di fronte ai gravi eventi sismici che hanno interessato tutto il Centro Italia e che, in particolare, hanno segnato la nostra città con la distruzione di molti edifici e la prospettiva di dover ricostruire scuole e intere parti di quartieri, tutto tace. L’enormità della questione, la consapevolezza di non poter far fronte con le sole proprie forze alla grave situazione e l’incertezza di una generale congiuntura economica, politica e sociale, sembrano aver allontanato qualsiasi volontà di affrontare l’idea di progettare «Che cosa fare?», per restare nell’attesa di una maturazione degli eventi nel tempo. Ma il tempo sarà poco se si rimane troppo ad aspettare e ci si rifugia dietro le complicazioni di un sistema che, nel procedere con regole e procedure ferree, non può svolgere il compito di sviluppare progettualità e prospettive per il futuro e soprattutto non contribuisce a rendere consapevoli i cittadini di quel profondo processo di trasformazione che dovrà interessare la città di San Severino insieme a tutti i territori del Centro Italia, sia per quanto riguarda le parti ricostruite che per il nostro modo di vivere quotidiano.
Nello stesso tempo tutte le città del mondo stanno affrontando grandi sfide per superare le profonde crisi creatisi di fronte ai gravi accadimenti che richiedono le risposte ad un maggior bisogno di pace e sicurezza, di condivisione dei servizi e delle risorse, di sostenibilità e risparmio energetico, di ecologia e rispetto dell’intero ecosistema della Terra, di un bisogno sempre maggiore di interconnettere la nostra vita individuale con il resto del mondo.
Di fronte a tutto questo il nostro dramma, vissuto a seguito del terremoto del 2016, può rappresentare anche un’occasione epocale per rigenerare le nostre città con infrastrutture capaci di rispondere alle nuove sfide sociali, economiche e culturali.
È importante che le forze locali contribuiscano a sviluppare idee, condivise e condivisibili dai più alti livelli istituzionali, espressione di un’intera comunità, senza arrendersi a quelle spinte culturali di massa che portano ad un generale appiattimento verso il basso da cui emergono le aspettative, più che legittime, di recuperare la vita di prima, senza porsi la questione della vita che sarà per le generazioni future o, peggio ancora, prevalgano ottusi e superati interessi economici e politici.
È certo che la ricostruzione post sisma del Centro Italia sarà accompagnata dalla disponibilità di enormi risorse economiche e finanziarie, legate anche al generale riconoscimento dei nostri territori quali «luoghi di origine della cultura europea».
Da parte nostra dobbiamo poter dimostrare all’altrui generosità di saper rigenerare le nostre città e i nostri ambiti senza tutti i problemi e le carenze presenti prima del sisma, riuscendo a creare nuova ricchezza con quelle mani che descrive Le Corbusier, felicemente visionario a Chandigarth in India: “Questo segno della Mano Aperta per ricevere ricchezze create, per distribuirle ai popoli del mondo, deve essere il segno della nostra epoca”.
Se ci accontenteremo di ricreare la nostra vita di sempre, senza tendere a raggiungere qualcosa di più, avremo fallito e sarà giusto aspettarsi un giudizio negativo da parte di chi oggi ci sta aiutando.
Per realizzare questo c’è bisogno della partecipazione di tutti, rimettendo in discussione le stesse certezze dell’oggi, con il coinvolgimento di quei saperi identitari che rendono ancora viva la nostra cultura e la nostra civiltà, lasciando indietro il nostro modo di agire «fai da te», seppure rivelatosi tanto virtuoso in passato, per portare le singole esperienze all’interno di un grande laboratorio capace di sviluppare le soluzioni per abitare oggi i territori interni.
È necessario essere disponibili ad aprire il nostro modo di vedere le cose verso la visione di un mondo in cui le diverse parti tendono sempre più ad essere interconnesse tra di loro: in breve, la banda ultra larga ci consentirà di replicare determinati servizi pubblici ad ogni angolo di strada ma la vera sfida sarà quella di poter connettere fisicamente gli utenti alle infrastrutture di servizio, all’interno di un tessuto urbano dove gli spazi per vivere, i luoghi di lavoro, le attrezzature per lo svago e il tempo libero saranno resi disponibili attraverso percorsi sicuri, brevi ed efficienti, connessi in rete con punti di accesso alle informazioni ed ai servizi digitali, diffusi in modo omogeneo sul territorio.
Come in una grande orchestra sinfonica la scelta dei tempi è fondamentale e un errore nell’esecuzione del tempo di battuta o del ritmo può trasformare l’armonia in una cacofonia. Spingere troppo sulla velocità può pregiudicare la sostenibilità e la validità delle scelte nel futuro. Non rispondere ai bisogni urgenti delle popolazioni può determinare un loro definitivo allontanamento. In questo tempo dilatato tra presente e futuro non restiamo in attesa, prepariamo le idee e le strategie urbane e territoriali che potranno essere messe in campo non appena si sarà conclusa la fase emergenziale che le Istituzioni, con enormi difficoltà, stanno cercando di fronteggiare e portare a termine.

Andrea Pancalletti

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