Dopo la commedia 7 uomini a mollo, l’attore francese Gilles Lellouche è tornato alla regia con L’amore che non muore (L’Amour ouf), presentato in concorso al Festival di Cannes 2024. Il film è scritto da Lellouche, Audrey Diwan e Ahmed Hamidi, è tratto dal romanzo Jackie Loves Johnser OK? (Neville Thompson) ed è stato inoltre campione d’incassi in Francia.
L’amore che non muore è un’opera drammatica e sentimentale, ma senza eccessivi patetismi. I protagonisti sono Jackie e Clotaire, una ragazza ed un ragazzo molto diversi tra di loro, ma accomunati da una profonda irrequietudine: Clotaire (interpretato da Malik Frikah e François Civil) è cresciuto in un ambiente difficile, ed è entrato presto nel giro della delinquenza; Jackie (interpretata da Mallory Wanecque e Adèle Exarchopoulos) invece è cresciuta in un ambiente confortevole, ma ha perso la madre da piccola in un incidente, ed il trauma non la molla. L’amore tra i due è sincero, ma turbolento, e Clotaire finisce ingiustamente in prigione per molto tempo: quando il ragazzo esce di galera, nonostante siano passati tanti anni e Jackie abbia ormai una nuova vita, il loro amore ancora non è finito.
L’opera è una storia d’amore dinamica, caratterizzata da una regia senza freni né rallentamenti: Lellouche riesce così a dare forza ai turbati sentimenti dei suoi giovani protagonisti, e ad aver la meglio sugli aspetti più scontati della trama. Zoom, carrellate veloci, dutch angle, split screen, un’ottima colonna sonora: la frenesia della regia è evidente ma non eccessiva, e dona all’opera quella forza tale da evidenziare bene l’agitazione che sta alla radice della storia. Sequenze sincopate alternate a momenti riflessivi, momenti drammatici e parti divertenti, azioni violentissime e amore: L’amore che non muore è un calderone di contrapposte situazioni e contrastanti sensazioni, e questo efficace miscuglio rende il film capace di intrattenere con buona qualità.
Un lungometraggio che ricorda, in certi tratti, la Nouvelle Vague, citando anche Martin Scorsese, Quentin Tarantino e Leos Carax: un’opera capace di raccontare tanto una storia d’amore quanto una difficile realtà sociale (come i tumulti causati dalle privatizzazioni tra gli anni Ottanta e Novanta, la povertà e la delinquenza nelle periferie). Ma, nonostante il degrado di certe situazioni, la storia non sprofonda nell’ineluttabilità, perché anche per il peggior soggetto, anche per chi è cresciuto nella violenza, c’è sempre la possibilità di scelta, la libertà di scelta che può cambiare radicalmente le sorti dell’esistenza. Il film ci ricorda che, nonostante la miseria e le difficoltà, c’è sempre una “sliding door”, una soluzione alternativa che può essere presa e percorsa. E questa soluzione può celarsi anche nelle cose più semplici, come uno squillo di telefono da non ignorare.
Silvio Gobbi