Il nuovo film di Clint Eastwood è un dramma giuridico incentrato sul difficile rapporto tra giustizia, verità e dubbio. Queste sfere etiche si scontrano tra di loro, si scambiano di continuo e stravolgono la vita del protagonista della vicenda, Justine Kemp, convocato per fare il giurato: durante il processo, l’uomo capisce che, in verità, non è stato l’accusato ad uccidere la vittima, ma lui stesso, per un incidente stradale; il senso di colpa logorerà Justine e cercherà di far scagionare l’accusato senza far scoprire di essere lui il colpevole del reato.
Giurato numero 2 è un film rigoroso e concreto, nel pieno stile di Clint Eastwood. Come in gran parte della sua filmografia da regista, Eastwood indaga con lucidità i problemi etici, si interroga su cosa sia giusto e sbagliato, problematizzando e sfaccettando (come sempre) i suoi protagonisti, indagandone le luci e le ombre: mostra come uomini per bene possano avere gravi colpe (ma, nonostante ciò, non possano essere definite “pessime” persone), e come uomini violenti possano essere, in certe occasioni, innocenti, ma senza essere creduti. Mostra inoltre come un sistema giuridico, seppur garante di molti diritti, possa avere delle falle, ma senza scadere nel rifiuto radicale dell’istituzione. Non ripudia il sistema giudiziario americano: attraverso questa storia ne mostra le eventuali pecche, ed i gravi danni che possono portare, ma non ne nega la validità; rimane sempre il sistema “migliore”, anche se necessita di essere perfezionato.
Eastwood affronta queste tematiche entrando nelle viscere di Justine: un brav’uomo, lavoratore, marito fedele e futuro padre, il cui grave sbaglio fa risvegliare gli spettri del suo passato. Grazie alla sceneggiatura dettagliata di Jonathan Abrams ed alla altrettanto precisa regia di Eastwood, Giurato numero 2 sa dare degna forma al suo contenuto. Sin dall’inizio del film, capiamo che il protagonista verrà coinvolto in una cupa vicenda (lo intuiamo già dalla scena dove Ally, la moglie, per sbaglio spegne la luce in cucina lasciando il marito al buio) e, lungo tutta l’opera, sarà infatti presente un continuo scambio di luce e oscurità tale da risaltare la drammaticità dell’incubo vissuto da Justine. La giustizia e l’ingiustizia camminano di pari passo, giusto e sbagliato sono alla pari. Certe sequenze confermano questa dualità, come durante le arringhe della accusa e della difesa: tramite un ottimo montaggio, vengono alternate continuamente le parole dell’accusa e quelle della difesa, creando un inesistente, ma coinvolgente, “botta e risposta” tra le due parti. Questo dinamico montaggio, alterna e mette in contrapposizione le due posizioni presenti in aula, rimarcando come ogni parte propugni la “propria verità parziale”: una scena che sottolinea ulteriormente come la verità sia non definitiva, come sia quindi facile essere vittima di ingiustiza.
Perché la verità e la giustizia spesso non coincidono, e questo Clint Eastwood lo ha spesso mostrato attraverso i tanti film che ha diretto. Ma ci ricorda anche che i gravi errori del passato, se non emendati, prima o poi, fanno capolino, ritornano a bussare alla nostra porta: e, nel finale, Eastwood lo mostra chiaramente, per non farcelo dimenticare.
Silvio Gobbi