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La Madonnina resiliente
La Madonnina resiliente

Nella chiesa di San Giuseppe la commovente Madonnina resiliente

La statua resiliente in un “altare sipario”

Nella ricostruzione dell’altare bruciato in San Giuseppe, ha meritato particolare cura la conservazione della commovente statua in gesso della Madonna di Lourdes: aggredita dal fuoco, non è stata mai rimossa dalla nicchia, né durante la prima fase dei lavori e neanche in seguito al sisma del 2016. Si è ritenuto doveroso, perciò, conservarla definitivamente in quella collocazione, vista anche la grande devozione di cui è fatta oggetto da parte dei fedeli. La statua raffigura la Madonna di Lourdes e, come scrive Paciaroni nella propria guida alla chiesa, fu collocata sull’altare nella prima metà del ‘900 per celebrare il miracolo avvenuto nella celebre grotta sui Pirenei. Si tratta di una immagine seriale in gesso di nessuno valore artistico – scrive sempre lo storico, che sostituì una tela – ora in sagrestia.

 

Il grave danno subito nell’incendio dalla statua ha determinato l’impossibilità di ogni suo spostamento e di un restauro, che non sia un semplice consolidamento volto a cristallizzare lo stato attuale. Tuttavia, per gli attuali orientamenti liturgici non era pensabile lasciare in venerazione un simulacro sacro così deturpato.

Così – replicando il meccanismo degli “altari sipario”, molto diffusi a partire dal secolo XVII – si è collocato davanti alla nicchia un quadro, già pala d’altare nella stessa chiesa fino agli inizi del secolo XIX e successivamente conservata in sagrestia. Un semplice telaio con cerniere laterali permette al dipinto di ruotare e scoprire alla vista la Madonna nella sua nicchia.

La scelta di ricostruire l’altare e il suo ruolo nello spazio interno

Seppure fosse oggetto di non enorme valore artistico, tuttavia lo spazio interno della chiesa, costruita ex novo nel secolo XVII, è caratterizzato da una perfetta euritmia e nonostante l’altare perduto non abbia più alcuna funzione liturgica, ci si è resi conto che non poteva restarne menomato. Il nostro obiettivo era dunque “il restauro dello spazio” nel tentativo di ripristinare l’euritmia interna, sbilanciata dalla perdita di quanto bruciato.

Abbiamo così considerato gli attuali orientamenti del restauro e le parole che il celebre architetto americano Frank Lloyd Wright pronunciò nel 1926 in una lezione all’università di Princeton, sostenendo la necessità della nascita di un’estetica autonoma dei prodotti realizzati con le moderne tecnologie: stigmatizzando la produzione di «copie fatte a macchina di originali fatti a mano», egli affermò con decisione che «l’imitazione dell’antico reso antico dalla macchina fosse un abominio tra i più abominevoli».

La mancanza di adeguata documentazione, la perdita dei fondamentali saperi artigianali necessari a replicare quanto perduto sono stati ulteriori fattori che ci hanno spinto nell’escludere senza appello l’ipotesi di ricostruire l’altare “dove era, come era”, slogan di grande effetto e presa, soprattutto sui non addetti ai lavori, ma che è del tutto fuorviante.

L’unica soluzione che ci è sembrata praticabile per tentare di ristabilire l’euritmia interna replicando il volume perduto in maniera semplificata e adottando tecniche che rendessero evidente la contemporaneità dell’intervento.

L’idea e il progetto

L’ipotesi è stata quella – mutuata dalla metodologia ormai consolidata nella reintegrazione di parti nelle opere d’arte, in particolare nei dipinti – di applicare la prassi della cosiddetta “semplificazione”, ovvero di realizzare un elemento di reintegro che permetta di nuovo la percezione dell’unità spaziale della chiesa, ma, allo stesso tempo, ne denunci l’epoca di costruzione.

L’approfondimento del progetto ha portato alla soluzione di completare il vuoto lasciato dalle fiamme con un elemento costituito da lame orizzontali in legno, assicurate ad una struttura metallica di ancoraggio al muro. Non bisogna dimenticare la necessità di calcolare l’intero elemento secondo i parametri che la normativa prescrive per le strutture in zona sismica. Da questa elaborazione, sottoposta poi alla definitiva approvazione della Soprintendenza, è risultato l’elemento messo in opera in chiesa, realizzato con elementi in multistrato di betulla dello spessore di 3 cm e profilati secondo lo schema esecutivo attraverso una macchina a controllo numerico. Le lame sono state trattate con vernice di finitura in due divere nuances di marrone, con un impregnante ignifugo e messe in opera con intervallo di 3 cm sull’intelaiatura metallica completamente invisibile.

Allo sviluppo esecutivo hanno collaborato il designer Marco Armoni e il restauratore Emanuele “Mastro T” Ticà, i quali hanno anche organizzato il team che ha realizzato materialmente la nuova installazione.

L’effetto di “trasparenza” dell’altare fa si che, accendendo opportune luci posizionate al suo interno, si possa vedere il muro posteriore su cui restano le tracce indelebili dell’incendio, le tessiture murarie e, in particolare, il pavimento originale della chiesa in laterizio, di cui sotto all’altare bruciato si conservava ancora una piccola porzione, che ne testimonia anche lo schema di posa. Per agevolare questa esperienza e per facilitare le operazioni di manutenzione, la mensa dell’altare è dotata di ruote che permettono di essere spostata in avanti

Luca Maria Cristini

Centro Medico Blu Gallery