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Cusiano, prima e dopo
Cusiano, prima e dopo

A 6 anni dal terremoto. “Si può dare una proroga alle scelte?”

Lo slogan alla base della strategia turistica della nostra regione negli anni ‘90-2000 era: “Marche Museo diffuso”, nato da un’intuizione del professor Massimo Montella di Unimc, già sperimentata con successo nella vicina Umbria.

La ricostruzione post sisma 1997 aveva di conseguenza scelto di intervenire su tutto il patrimonio storico-architettonico, proprio in considerazione che ogni elemento, di maggiore o minor valore, fosse essenziale di questo sistema diffuso caratterizzato da qualche eccellenza, ma mediamente di rilevante valore, nell’unicità del suo essere così persente su tutto il territorio. Questa volontà si tradusse nella legge quadro della ricostruzione, la 61/’98, che all’articolo 8 prevedeva la redazione di un piano complessivo di interventi contenente oltre 2.300 edifici. Per la verità, per ragioni di tipo finanziario, la realizzazione del piano si è arenata poco dopo il millesimo edificio, ma, lo sappiamo, che le cose in Italia vanno così…

Il castello Carpignano messa in sicurezza

Diverso è l’atteggiamento del legislatore nella ricostruzione post-sisma 2016. È innegabile la maggior vastità dell’area colpita – che con termine per i più inspiegabile oggi definiamo “Cratere” – e la tanto maggiore gravità del danno, che moltiplicano a dismisura l’impegno economico necessario alla ricostruzione. Per quanto riguarda gli interventi sugli edifici abitativi questa si è estesa a prime e anche seconde case; queste ultime dopo il 1997 rimasero senza risorse. Per quanto concerne gli edifici di interesse culturale (e turistico, in base al concetto del “Museo diffuso”), invece, a sei anni dal sisma, nessuna scelta si è ancora fatta. Una pianificazione complessiva degli interventi non esiste e si procede per stralci con ordinanze del Commissario straordinario senza che vi si intraveda una strategia, un obiettivo da raggiungere. In merito agli edifici ad uso religioso, si è partiti con slogan del tipo “Una chiesa per Natale” (2016 sic!) e “Una chiesa per comunità” (2017) che dovevano comprendere edifici con danni modesti, da riparare rapidamente, poi sono finiti in due successive ordinanze emanate molti mesi dopo. A queste due ne sono seguite altrettante: nelle quali si trovano altre chiese, senza che se ne comprenda alcuna logica alla base dell’inclusione. A ciò si è aggiunto il problema – segnalato a più voci e mai ascoltate, in fase di bozza – che per riparare questi edifici sono stati previsti importi di spesa del tutto non congrui: per alcuni sono sovrastimati, per la maggior parte degli altri sono irrimediabilmente insufficienti. Si consideri il fattore aggravante che gli importi risultano bloccati e le economie che si determineranno nei cantieri che hanno risorse in esubero saranno disponibili solo a lavori chiusi, così i progetti degli altri – quelli con previsioni economiche insufficienti – potranno essere approvati solo dopo anni, generando un cortocircuito totale e tempi infiniti.

La statua di San Paolo in cima all’omonima chiesa

Per gli edifici di enti pubblici – territoriali e non – ci si è affidati finora a Ordinanze speciali, la cui pianificazione avviene per concertazione tra gli enti e l’Ufficio del Commissario, senza possibilità di rintracciare anche qui un criterio che sia finalizzato a un obiettivo generale. Scuole e municipi sono, giustamente, edifici di natura strategica, con ordinanze ad hoc, e in tutto questo sfugge ancora di più il quadro generale a cui la ricostruzione tenderà.

Il Psr (Piano di sviluppo rurale gestito dalla Regione Marche con risorse comunitarie) ha ricevuto risorse aggiuntive per le zone del Cratere, così come il Pnrr ha un capitolo speciale per le aree dei sismi 2016 e 2009 (L’Aquila), senza però che questa pioggia di finanziamenti abbia una regia complessiva e, come detto, una finalità definita in maniera generale.

Così si ha l’impressione che si sta navigando a vista, senza una scelta di fondo; ogni sindaco reclama la propria piccola scuola elementare che, come si legge dai giornali in questi giorni, fra qualche anno sarà senza insegnanti e, temo, senza più alunni. Avremo chilometri di piste ciclabili nella speranza – ma senza certezze – che tra un comune e l’altro si innestino tra loro e avremo impianti di risalita senza più neve. In base alla previsioni dei climatologici, con la tendenza dello zero termico a salire sempre più sopra 2.000 metri e con la nota penuria ad acqua, non sarà più neanche possibile l’innevamento artificiale. Credo, poi, che nessun vero appassionato di sci sarà seriamente intenzionato a sciare in Appennino su quei tappeti di plastica, ancorché riciclata (si legge: green e sostenibile, dunque allineato al mainstream che caratterizza le strategie di marketing del momento) che qualcuno propone come surrogato alla neve.

Questa ricostruzione avrebbe dovuto essere pianificata con lungimiranza puntando su tecnologie innovative e su una logica di condivisione di tipo comprensoriale in merito a servizi e infrastrutture, considerando una dimensione minima dei bacini di utenza. Mai la nostra regione è riuscita ad abbattere quegli assurdi campanili e a ragionare come una grande comunità o come – visti i numeri – una grande città di dimensioni regionali (la “Città Regione”?) spalmata su un grande territorio. Questa forse era l’ultima occasione per provare a farlo, ma la politica è sempre più debole e autoreferenziale e, soprattutto, vive in balia della ricerca immediata di consenso e like sui social, così non ha avuto mai la forza di proporre un modello a lungo termine.

Sant’Eustachio

Allora, tornando al quesito iniziale, che ne sarà, dopo la ricostruzione del nostro Museo diffuso? Punteremo ancora su questo modello per lo sviluppo turistico della nostra regione o sarà necessario a pensare ad un altro schema? Come si sceglieranno edifici, nuclei abitati da sacrificare rispetto a quelli che saranno valorizzati? Aggiungo: la selezione si baserà su un criterio funzionale (siamo sicuri che tra dieci anni la situazione demografica sarà come l’attuale?) o di valore? Tutti quesiti oggi senza risposta.

Per ora abbiamo fatto decine di convegni e webinar nel cui titolo abbondavano parole come identitario, resilienza, rigenerazione, territorio, ma mai è stato un declinato un obiettivo generale. A fare notizia ogni giorno è una ricostruzione impossibile, per la quale il “cantiere più grande d’Europa” è in costante affanno, nella continua dialettica di contrapposizione tra imprese/ tecnici /ufficio commissariale/ uffici della ricostruzione. I materiali da costruzione non si trovano – anche perché i costi previsti nei prezziari sono fuori mercato, e peggio sarà in base alle previsioni degli economisti nel breve periodo – e le scadenze diventano impossibili da rispettare. Basta fare una banale moltiplicazione che abbia come fattori il numero degli interventi attesi e il tempio medio necessario a realizzarne uno per rendersi conto che la ricostruzione durerà molti lustri ancora.

Le proroghe sono possibili per i cantieri, ma per le scelte, ormai, potrebbe non esserci più tempo.

Luca Maria Cristini

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