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Le buone stelle
Le buone stelle

Recensione: “Le buone stelle”, di Hirokazu Kore’eda

In Corea del Sud, a Busan, la giovane So-young (IU) abbandona il proprio figlio all’ingresso di un “orfanotrofio-casa di cura” per bambini senza genitori, ma il neonato viene preso da Dong-soo (Gang Dong-won), un dipendente part-time della struttura, e Sang-hyeon (Song Kang-ho): i due intercettano, di nascosto, gli infanti abbandonati per venderli illegalmente alle coppie senza figli. Il giorno dopo, la ragazza rivuole indietro il suo piccolo e non lo trova nella casa di accoglienza, però riesce a raggiungere i due trafficanti: conscia del fatto che lei non possa prendersi cura del bambino, decide di partire con i due uomini alla ricerca dei genitori ideali per la sua creatura. I tre non saranno soli, perché due agenti della polizia, le detective Soo-jin (Bae Doo-na) e Lee (Lee Joo-young), pedineranno i trafficanti per incastrarli sul fatto.

Le buone stelle (Broker) è il nuovo film del regista giapponese Hirokazu Kore’eda, presentato in concorso alla 75ª edizione del Festival di Cannes (“Prix d’interprétation masculine” a Song Kang-ho): l’opera è uscita in Italia, in anteprima, il 21 settembre, e verrà ufficialmente distribuita a partire dal 13 ottobre.

Il regista, già premiato con la Palma d’oro nel 2018 per Un affare di famiglia (Manbiki kazoku), ritorna alla carica con un film incentrato su uno dei temi a lui più cari, la famiglia. Perché quella che si crea tra So-young, Dong-soo, Sang-hyeon e tutti i personaggi che incontrano lungo il loro cammino tra Busan e Seul, è una famiglia al di fuori di ogni previsione e preconcetto, incredibilmente atipica e talmente unica da perdurare anche oltre questo impensabile ed intenso viaggio. Kore’eda indaga la complessità e la profondità del concetto di “famiglia”, mostrandoci come i classici legami parentali e biologici possano essere superati dalla forza dei rapporti che si creano al di fuori della “linea di sangue”: i legami che si costruiscono con gli altri, soggetti inizialmente a noi sconosciuti, delle volte anche rivali e nemici per certi aspetti, possono, a mano a mano, diventare sempre più profondi e autentici. Con una regia sobria, lieve e dinamica come i suoi protagonisti, questo road movie attraverso la Corea del Sud e lungo l’animo dei personaggi, dona una grande quantità di sfumature e di dettagli delle donne e degli uomini presenti: ragazze sfruttate, bambini e adulti abbandonati, figure caratterizzate da tratti e toni originali. Kore’eda non condanna né assolve le debolezze e gli errori dei protagonisti, ma li accetta: le loro colpe sono scevre dalla pesantezza del senso del peccato, e questo rende alla pellicola una genuina umanità. Le buone stelle innesta nel dramma spiccate e riuscite note di umorismo, cancella la dicotomia tra cattivi e buoni, due categorie tanto care a troppi film che qui, invece, diventano evanescenti davanti alla varietà della vita e delle vite: una ricchezza che Hirokazu Kore’eda sa valorizzare al meglio.

Silvio Gobbi

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