Dopo l’esordio folgorante di Scappa – Get Out, e la contorta seconda opera Noi (Us), Jordan Peele realizza il suo terzo lungometraggio Nope, un lavoro ricco di spunti e suggestioni, difficilmente collocabile all’interno di un’unica etichetta: alieni, fantascienza, horror, severe citazioni della Bibbia, critiche sociali in sottotraccia e tanta tensione (quest’ultima, la grande protagonista ben presente lungo tutta la pellicola).
Riducendo la trama al minimo, Nope racconta la storia di Otis “OJ” Haywood Jr ed Emerald “Em” Haywood, fratello e sorella che perdono il padre e si ritrovano a portare avanti l’azienda di famiglia ad Agua Dulce, California. Nel loro ranch, allevano ed addestrano cavalli per l’industria cinematografica, ma da sei mesi i due giovani hanno notato strane presenze nella valle e nel cielo. Non molto lontano da loro, vive Ricky “Jupe” Park, proprietario di un parco divertimenti a tema western: egli è un ex attore che, in gioventù, scampò dalla furia omicida di una scimmia impazzita, protagonista della sitcom (“Gordy’s Home”) dove Ricky recitava. Questi due filoni, questi due nuclei narrativi apparentemente slegati, verranno uniti dalle tragiche vicende che coinvolgeranno quella valle misteriosa ed isolata.
Peele fonde la fantascienza con il western, prende questi due generi ormai canonici (ed abusati) e tenta di rielaborarli, ed attraverso sfaccettature horror, citazioni di classiche pellicole, qualche jumpscare ben collocato, il regista realizza un’opera cinematografica tanto di intrattenimento quanto di riflessione. Perché Peele, sulla scia della lezione dei grandi registi horror come George A. Romero, va letto tra le righe: non solo intrattiene dal principio alla fine, ma riesce a suggerire continuamente allo spettatore qualcosa, ad innestare in chi guarda dubbi e pensieri tramite le critiche che inserisce lungo il racconto. Al di sotto della tematica aliena, il regista ci parla di sfruttamento, tanto degli animali quanto delle minoranze etniche, e grazie al meticoloso utilizzo della suspense (come Hitchcock ha insegnato) si crea un saldo legame tra forma e contenuto, tra intrattenimento e riflessione.
Nope stimola la riflessione, diverte ed inquieta, esalta e contraria il pubblico: piaccia o meno, non lascia indifferente lo spettatore, fa parlare di sé. Un film fagocitante, perché fagocitante non è solo il “cattivo” della situazione (chi vedrà il film, capirà), ma lo è anche il mondo dove OJ ed Em si trovano, il mondo dello spettacolo di cui fanno parte, ed il mondo dove noi tutti viviamo: un mondo che sfrutta e spolpa, ingurgita chi non può fare nulla per salvarsi. E si finisce nelle fauci di questa realtà, nel suo esofago, nello stomaco ed infine si viene digeriti ed espulsi: gli animali, i neri, gli asiatici, gli ultimi, i deboli di ogni dove, chiunque può passare da predatore a preda in un batter d’occhio. Come dichiarano i versi biblici di Naum citati all’inizio del film, «Alzerò le tue vesti fin sulla faccia e mostrerò alle genti la tua nudità, ai regni le tue vergogne. Ti getterò addosso immondezze, ti svergognerò, ti esporrò al ludibrio»: possesso dei corpi, umiliazione ed abuso come basi della vita. Il mondo dello spettacolo, lo star system, e la realtà sono un’unica gabbia di violenza e mercificazione, un’unica grande entità (in parte, ci fa ricordare Guy Debord): Nope è tutto questo e molto altro ancora.
Silvio Gobbi