Sabato 30 ottobre c’è stata a San Severino la visita del cardinal Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Conferenza episcopale italiana, per i festeggiamenti del copatrono San Pacifico, indetti dalla “Provincia Picena San Giacomo della Marca dei Frati Minori”, ricorrendo quest’anno il 3° centenario della sua nascita al cielo (24 settembre 1721).
Egli ha celebrato nella basilica di San Lorenzo dove il santo è stato battezzato il 1° marzo 1653 col nome di Carlo Antonio Divini, lo stesso giorno della sua nascita. Si è trattato, come ha ricordato lo stesso Porporato, di un omaggio a un grande santo che ha fatto della sofferenza la via alla conoscenza di Gesù Cristo, attraverso l’assunzione incondizionata del dolore, vissuto come mezzo di trasfigurazione.
San Pacifico si ammalò fin da giovane di cecità e sordità; inoltre aveva due piaghe irrimarginabili alle gambe che lo resero infermo. Come ha ricordato lo stesso cardinale nell’omelia, San Pacifico viene definito “Il Giobbe francescano” seguendo l’esempio del personaggio biblico: “Dio ha dato, Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore”.
“Occorre mostrare l’attualità di San Pacifico – ha proseguito mons. Bassetti – e vedere le ferite che ci capitano e che in qualche maniera tutti noi abbiamo, non come causa di abbattimento ma come ‘feritoia’ per incontrare Dio e gli altri”.
A questo punto ha citato la lettera eccezionale di una madre con grandi sofferenze che gli ha scritto: “Vede Padre, Dio scrive la sua storia anche con le nostre matite spuntate… Lui con tanti tasselli di vetri rotti può realizzare un mosaico”.
Queste parole mi sembra che descrivano bene la vicenda di San Pacifico e l’attrazione misteriosa che lui esercita tuttora, perché quelli che al mondo paiono fallimenti, in realtà da Dio possono essere trasformati in potenti leve che ci permettono di vedere in profondità la nostra natura rivelata da Gesù Cristo.
Dicono i biografi che San Pacifico non si lamentò mai dei suoi malanni; che si curava le ferite da solo; che sulla sua bocca erano frequenti le parole “Paradiso, Paradiso” e che attese gioiosamente il Signore nel momento della morte, volendolo incontrare in ginocchio e non sdraiato, ma ciò gli fu impedito dal Padre Guardiano perché in questo modo avrebbe affrettato il momento del trapasso.
Questo è anche quanto vuole essere messo in evidenza dalla mostra “San Pacifico Divini: la ferita aperta” realizzata dal Centro culturale “Andrej Tarkovskij”, che rimarrà aperta fino a domenica 7 novembre. In essa la ‘ferita’, che è “la spina nel fianco” o il “gemito dello Spirito”, cioè il grande bisogno di Dio, viene vista presente in ogni essere umano, ma sono i santi coloro che ci aiutano a farne un mezzo di conversione e trasfigurazione del nostro essere. Per fare ciò occorre “l’altissima povertà” proclamata da San Francesco e presente anche nel brano del Vangelo delle Beatitudini letto alla messa. Per cui il cardinal Bassetti ha affermato: “Povero non è colui a cui mancano molte cose, ma chi sa consegnare la sua vita a Dio… La povertà vissuta da San Francesco può essere vissuta da ogni uomo nella modalità della sobrietà, come ci indica Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’: ‘Fermarsi a gustare le piccole cose, saper rispettare il nostro Pianeta per evitare di impoverire questa generazione e quelle che verranno’ “.
Il Santo ci toglie dall’illusione di essere capaci, in quanto uomini, di realizzare una società perfetta, ci mostra con la sua esperienza quanto sia necessario il legame quotidiano con Gesù Cristo, ‘Colui che è tra noi’, che ci chiama a seguirlo mostrandoci come l’appartenenza a Lui porti alla felicità.
Angelo Cantenne