Quattro professori danesi di mezza età decidono di dare una svolta alle loro vite, vivendo secondo la teoria dello psicoterapeuta norvegese Finn Skårderud: mantenere un livello minimo costante di alcol nel corpo, per essere più disinibiti e migliorare le prestazioni in ambito lavorativo e famigliare, ed avere così più successo nella vita, grazie alla disinvoltura che l’alcol dona.
Martin è il protagonista, un insegnante di storia del liceo: la sua vita non ha nulla di particolarmente drammatico, è semplicemente spenta, come quella dei suoi amici e colleghi. Nessuno di loro ha concretamente qualche grave problema, l’unico loro guaio è quello che colpisce molti: la monotonia, i rapporti familiari che si fanno freddi col tempo, qualche rimorso per gli errori, il rammarico per il passato irrecuperabile e la gioventù ormai finita. Nulla di grave, ma quanto basta per affliggere gli animi e cercare così di tentare una svolta seguendo un rischioso esperimento a base di drink: purtroppo, l’esperienza alcolica non sarà semplice, e sarà sempre più difficile non cadere nell’alcolismo.
Un altro giro (Druk) è l’ultimo lavoro di Thomas Vinterberg e, dal 20 maggio, è distribuito nelle sale italiane. Si è aggiudicato vari premi, tra i quali: “Miglior film”, “Miglior regista”, “Miglior attore” (Mads Mikkelsen) e “Miglior sceneggiatura” (Vinterberg e Tobias Lindholm) agli European Film Awards; “Miglior film” ai BAFTA; “Miglior film straniero” al Premio César e, infine, la statuetta come “Miglior film internazionale” all’ultima edizione degli Oscar. Non possiamo lamentarci, perché i riconoscimenti sono tutti meritati. Thomas Vinterberg, uno dei padri, insieme a Lars von Trier, del movimento cinematografico Dogma 95, autore di film come Festen (1998), Il sospetto (2012) e La comune (2016), con Un altro giro realizza un’opera viva e coinvolgente, capace di generare un’irrefrenabile empatia nei confronti dei protagonisti. Un lavoro spontaneo e diretto, dove i personaggi e le loro vicende sono così naturali, così vicine, sincere e verosimili da rendere impossibile qualsiasi giudizio negativo o sprezzante nei loro confronti: lungo la visione del film, si diventa sempre di più amici di questi quattro professori, Martin, Tommy, Nikolaj e Peter. Vinterberg alterna dramma e commedia, serietà ed ironia: camminando su di un filo sottile senza mai precipitare in un tono o nell’altro, l’autore decide di non fare la morale ai suoi protagonisti, e, così facendo, egli dona alla storia quella curiosa piacevolezza di cui aveva bisogno.
Con qualche movimento di macchina a mano traballante che ricorda le radici del Dogma 95, Vinterberg esprime l’ebbrezza che vivono i quattro buoni, ma delusi, uomini: vediamo il film come se fossimo brilli, alternando, insieme a loro, momenti di euforia a sprazzi di lucidità e dramma. Ma Un altro giro non è un inno all’alcolismo, e nemmeno una condanna ad esso: è un’opera sull’accettazione di noi stessi, di ogni aspetto della vita, con serenità e misura. C’è chi dei protagonisti riesce a capirlo, chi no. Un film senza condanne né moralismi: ci sono soltanto persone vere, piene di dettagli, raccontate con equilibrio dagli autori attraverso questo impervio e inaspettato viaggio nel mondo dell’alcol. Un lungometraggio dove si accettano e si comprendono gli errori, senza stigma, con esseri umani che percorrono nel silenzio i loro dolori cercando uno sprazzo di luce. Dice uno studente liceale durante l’esame, parlando di Søren Kierkegaard: «Bisogna accettarsi come soggetto fallibile, amare l’altro e la vita». È ciò che Martin comprende lungo questo etilico percorso, segnato da successi ed errori: accettare di poter fallire non vuol dire essere dei falliti e, quindi, tanto vale proseguire, vivere la vita pienamente, in ogni suo momento. Mettersi in moto, recuperare il matrimonio con Anika, ricominciare a vivere e a celebrare l’esistenza stessa per ciò che è, nella sua interezza: ballare, come un giovane pieno di energie, magari cantando «What a life, what a night / What a beautiful, beautiful ride».
Silvio Gobbi